Giornata di luci ed ombre la seconda del festival di Venezia 2011. La luce è sicuramente arrivata da Roman Polanski e il suo “Carnage”, film applauditissimo e che vede protagonista un cast di stelle composto da Kate Winslet, Christoph Waltz, Jodie Foster e John C. Reilly. Una commedia acida, ironica e spietata, parlatissima e figlia dell’impostazione teatrale che deriva dalla piecè di Yasmina Reza, sceneggiatrice del film insieme al regista polacco. Autore tra i più grandi e amati della storia del cinema, Polanski ha sempre profuso ai suoi film un incedere progressivo e crudele, in apparenza poco incline ad accogliere lo spirito ondivago e aneddotico della commedia. Se si escludono le incursioni nel parodistico (“Per favore non mordermi sul collo”, 1967) e il grottesco (“Pirati”, 1986) non sono molte le tracce puramente comiche nella filmografia di Polanski. Al contrario il senso di assurdità si avverte in tutte le pellicole del regista premio Oscar, pregne di un vorace e disincantato umorismo sull’essere umano e il suo essere nel mondo. In questo senso “Carnage” non fa eccezione è fornisce un quadro vivido, divertente ma anche disperato su un’umanità in disfacimento. Delude invece l’opera seconda di Madonna “W.E”, presentata fuori concorso e che è stata accolta da qualche applauso, ma da molti fischi da parte della critica durante la proiezione stampa. Manhattan, 1998. La giovane Wally Winthrop, intrappolata in un matrimonio pubblicamente invidiabile ma personalmente umiliante, frequenta quotidianamente l’esposizione dei cimeli del duca e della duchessa di Windsor nei locali di Sotheby’s e si lascia ossessionare dalla storia di re Edward, che negli anni Trenta abdicò alla guida dell’impero inglese per amore di Wallis Simpson, americana senza doti né dote, due volte divorziata. Mescolando i propri sogni ad occhi aperti con la lettura della vera corrispondenza di Wallis Simpson, la giovane immagina i retroscena di quella che è stata definita la più grande storia d’amore del ventesimo secolo e il sacrificio che ha imposto, anche o soprattutto a Wallis. Il film della regina del pop cavalca quindi la formula del racconto parrallelo tra epoche storiche diverse, richiamandosi ad un già collaudato predecessore come “The Hours” di Stephen Daltry, ma non convince a pieno soprattutto perchè si abbandona troppo spesso (e facilmente9 ad una visionarietà fine a se stessa e non sempre azzeccata. Terzo film di giornata e terzo film del concorso è “Saidenke Balai” epopea fantastica taiwanese piuttosto dimenticabile ed estenuante (oltre i 150 minuti di durata) accolta con una glaciale freddezza che vale quasi più di assordanti fischi.