Forse la più mediocre delle giornate vissute finora da questo sessantottesimo Festival di Venezia. Presentati in concorso “Wuthering Heights” di Andrea Arnold e “Himizu” di Sion Sono, mentre in fuori concorso è presente “The Moth Diaries” di Mary Harron. Proprio quest’ultimo entra di diritto nella corsa al film più brutto (oltre che più stupido) dell’intera Mostra. Rebecca è un’adolescente tormentata; suo padre si è tolto la vita e ora lei vuole dimenticare e cambiare vita. Al college incontra un’amica, la solare e innocente Lucy. Quando però tra le due si intromette Ernessa, Lucy comincia ad allontanarsi da Rebecca, a dimagrire e impallidire paurosamente. Rebecca si convince allora (non si sa bene perchè) che la misteriosa Ernessa sia un vampiro. Un prodotto a dir poco imbarazzante, senza capo nè coda che pare essere la parodia di una presa in giro di un qualunque capitolo di Twilight che si fonde con il peggior citazionismo gettato al vento senza costrutto e senza idee originali. “Wuthering Heights” è invece l’ennesimo adattamento del capolavoro di Emily Bronte. Un’operazione in cui si erano cimentati maestri come William Wyler e Luis Bunuel e che questa volta tocca ad Andrea Arnold, regista di “Red Road” e “Fish Tank”. Il risultato è pedante, ripetivo, noiosissimo e di una disarmante inutilità. L’amore eterno tra Catherine e Heathcliff viene trattato con superficialità e insopportabile pesantezza: il tutto protratto senza reale motivo per quasi due ore e dieci. Uno dei peggiori titoli del concorso veneziano, fino a questo momento. Terzo e ultimo titolo di giornata è “Himizu” di Sion Sono. Discesa agli inferi di un teenager in lotta per una vita normale. Quando la madre lo abbandona per andare a vivere con il suo nuovo fidanzato, per il tredicenne Yuichui Sumida comincia una lotta per riconquistare la normalità e la tranquillità, una discesa negli abissi che lo porterà a contatto con i demoni che fino a quel momento erano rimasti a tacere dentro di lui. Sion Sono è un intrepido esponente del cinema nipponico, venerato dagli amanti del cinema estremo orientale e dai cultori delle immagini forti. Il regista è reduce dal successo di “Cold Fish”, presentato lo scorso anno proprio a Venezia nella sezione Orizzonti. “Himizu” soffre fin troppo dell’estro creativo del suo autore che sembra soffocare con un’estetismo affascinante, ma vuoto, qualsiasi velleità prettamente filmica.