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La musica fa 80 – I Culture Club

Continua il nostro appuntamento settimanale sulla musica degli anni ’80 con un gruppo che ha fatto parlare moltissimo di sè sia per la sua musica che per le sue vicende extramusicali: parliamo dei Culture Club.

Culture Club
I Culture Club sono un gruppo musicale britannico, fautori del genere synthpop e che strizzava ben più di un occhio verso il reggae e le ballads. Il gruppo, formato nel 1981 dall’anglo-irlandese George O’Dowd, (ribattezzatosi Boy George), dal bassista giamaicano Mickey Craig, dal batterista e percussionista anglo-ebreo Jon Moss e dal chitarrista e tastierista anglo-sassone Roy Hay (che sostituisce il primo chitarrista, Suede), decide di chiamarsi all’inizio Sex Gang Children ma, su suggerimento di Moss, viene scelto il nome definitivo, Culture Club, per meglio riflettere le diverse origini dei quattro membri storici. La band comincia ad incidere alcuni demo, finanziati dalla casa discografica EMI, che non ne rimane però molto soddisfatta e non ingaggia il gruppo: ci pensa però la Virgin a metterli sotto contratto attraverso la Epic, e così il gruppo produce il primo album, “Kissing to Be Clever”, nel 1982. I primi singoli, White Boy e I’m Afraid of Me, raggiungono appena la posizione numero 100 In Inghilterra ma la band costruisce pian piano una solida base di fans, dimostrando che quello che manca davvero al gruppo è solo il pezzo giusto. Ed il pezzo giusto arriva: il terzo singolo, Do You Really Want to Hurt Me, scala tutte le classifiche della BBC, diventando un enorme successo internazionale e raggiungendo la prima posizione in una dozzina di paesi e la posizione numero 2 negli Stati Uniti. A seguire saranno pubblicato il singolo “Time (Clock of the Heart)” (un grande successo sia in Inghilterra che in America) e “I’ll Tumble 4 Ya” (che scala le classifiche grazie ad un remix). Grazie a quest’ultimo singolo statunitense, i Culture Club diventano il primo gruppo, dopo i Beatles, ad avere 4 singoli in classifica tutti tratti dall’album di debutto. L’album d’esordio vende 2 milioni di copie al momento della pubblicazione e lo stile eccentrico di Boy George fa parlare molto di sè, facendolo diventare una celebrità di livello mondiale e uno dei preferiti dell’allora nascente network musicale MTV. L’anno dopo, il 1983, vede uscire il secondo album, Colour by Numbers anticipato di diversi mesi dal primo singolo, “Church of the Poison Mind: la canzone vede la partecipazione di Helen Terry, (la corista di “Do You Really Want to Hurt Me“, ormai entrata stabilmente a fare parte del gruppo) e raggiunge la seconda posizione in Inghilterra e la Top Ten negli Stati Uniti. Ma a fare il botto sarà il secondo singolo, “Karma Chameleon“, numero Uno nel Regno Unito e negli Stati Uniti, un successo internazionale di proporzioni gigantesche e uno dei brani più celebri di tutto quel decennio. Dall’album vengono presi anche altri singoli di successo, come “Miss Me Blind” (Numero 5 negli Stati Uniti), “It’s a Miracle” (Numero 13 negli USA e Numero 4 nel Regno Unito) e la ballatona “Victims” (Numero 3 nel Regno Unito), da molti considerata il vero capolavoro del gruppo. Quest’album vende oltre 4 milioni di copie negli USA ma all’interno del gruppo iniziano i primi guai: infatti, all’insaputa del pubblico e addirittura di Craig e Hay, George ha una relazione sentimentale burrascosa e sofferta con il batterista Jon Moss, e la pressione per tenere nascosta la cosa al pubblico e al resto della band inizia a far sentire il suo peso. Tutto questo, sommato anche alla tossicodipendenza di George, fa perdere al gruppo il posto che si era guadagnato in campo musicale. La situazione esploderà con l’album successivo, “Waking Up with the House on Fire” del 1984, che ottiene solo il disco d’oro e si rivela un mezzo flop: dall’album sarà estratto solo un singolo di successo, The War Song (Numero 2 nel Regno Unito), mentre il singolo “Mistake No. 3”, forse uno dei pezzi migliori del gruppo, passa quasi inosservato. Il gruppo comincia a scomparire gradualmente dall’attenzione del pubblico e dei media nel corso dei due anni successivi fino al 1986, anno di pubblicazione del quarto album, “From Luxury to Heartache“, un album musicalmente diverso e per certi aspetti qualitativamente superiore rispetto ai precedenti, da cui viene estratto un singolo di successo, “Move Away” (Numero 12 negli Stati Uniti e Numero 7 nel Regno Unito), e due flop, “God Thank You Woman” in Inghilterra e “Gusto Blusto” che non entra nemmeno nella classifica americana. Le violente discussioni tra George e Jon e la dipendenza da eroina e cocaina di Boy George creano troppa tensione per il proseguimento del gruppo che si scioglie in quello stesso anno, con il tour promozionale appena iniziato. Il successivo arresto di George da parte della polizia londinese per possesso di cannabis sarà solo la ciliegina su questa torta così amara. Boy George dà inizio alla sua carriera da solista nel 1987 con alcuni successi (tra cui la Numero 1 britannica ed europea “Everything I Own” e le colonne sonore “Love is love” del film “Electric Dreams” e “The Crying Game” (del film “La moglie del soldato”) e riesce a vincere la sua battaglia personale contro le droghe, diventando nel frattempo un DJ. Gli altri membri del gruppo però tentano di riformare la band e ci riescono nel 1998, complice una performance di riunione per la trasmissione di MTV VH1 Storytellers: alla performance fa seguito la pubblicazione di un un quinto album, “Don’t Mind If I Do“. Il primo singolo, “I Just Wanna Be Loved”, raggungerà la posizione numero 4 nel Regno Unito, ma i singoli successivi saranno però un fiasco completo, lasciando alla band solo la voglia di esibirsi live in tour fino al 2002, dove, con un concerto alla Royal Albert Hall di Londra, celebrano il loro 20º anniversario (concerto ripreso in video e pubblicato in DVD l’anno seguente): al termine di questo periodo, i Culture Club si fermano di nuovo, e stavolta sembra per sempre.

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