Quarant’anni possono sembrare un lungo periodo ma quando si parla dei The Doors e in particolar modo di Jim Morrison, il tempo non è una variabile a cui si può far riferimento.
Il 3 luglio 1971, Jim Morrison, ha abbandonato questo mondo in un albergo di Parigi, dove si trovava con la moglie Pam. Le cause della morte, o presunta tale sono ancora in via di definizione e, presumibilmente, non si arriverà mai ad una conclusione certa. Sulla morte o rinascita di Jim Morrison sono stati scritti fiumi di parole e altrettanti libri ma, dopo così tanto tempo, credo che non si arriverà mai ad una, sola, verità.
Ripercorriamo questo anniversario semplicemente come un omaggio ad una delle personalità più interessanti e carismatiche dello scorso secolo.
Proprio in questi giorni, al cinema, vi è proiettato “When you’re Strange“ un film che ha cercato di rappresentare Jim Morrison mediante immagini insolite e di nicchia, con la voce di Johnny Depp in USA e del cantante Morgan in Italia. Le critiche al documentario, in particolar modo per la scelta dei doppiatori, sono cosa nota ma, anche in questo caso, preferiamo concentrarci su Jim Morrison, tralasciando ancora una volta i numerosi omaggi o presunti tali che nel tempo gli sono stati fatti.
I Doors sono stati una delle parabole più interessanti nella storia del rock perché in pochissimi anni sono riusciti a conquistare un pubblico davvero infinito. La leggenda narra che il gruppo si sarebbe formato su una spiaggia in California e precisamente a Venice, quando Jim Morrison lesse a Ray Manzarek i versi di “Moonlight Drive”. I due si erano conosciuti a scuola ed ad unirli ci fu la stessa passione letteraria e cinematografica.
Il fascino e il carisma di Jim è fin da subito percepibile e Ray Manzarek gli fornisce proprio ciò di cui lui aveva bisogno: una solida base musicale per costruire la sua band.
Nel 1967 esce l’album omonimo “The Doors” e il gruppo americano suscita da subito la passione di critica e pubblico. Jim appare visionario ma nello stesso tempo molto intenso anche se, non bisogna dimenticare gli altri ottimi membri del gruppo da Robby Krieger alla chitarra e compositore, Ray Manzarek alle tastiere e all’organo e John Densmore alla batteria.
Definire quale genere i Doors hanno inventato è forse uno degli aspetti più difficili quando si parla di un gruppo che ha cercato di rivoluzionare la musica unendo ad essa una poesia decadente e una teatralità che ha permesso loro di distinguersi dalla massa, divenendo uno dei gruppi a cui ci si riferisce ancora, continuamente, quarant’anni dopo la morte di Jim Morrison.
“Light My Fire” è forse una delle canzoni che ha ricevuto più cover nel panorama musicale ma quando iniziano le prime note e la voce baritonale di Jim Morrison, la versione che risuona perfetta è solo una: quella dei Doors.
La storia di uno dei gruppi a tratti più oscuri ma nello stesso tempo più solidi e apprezzati all’interno del secolo scorso, è cosa ormai nota e per questo motivo non mi soffermo molto nella recensione dei dischi. Di certo, alcune canzoni sono cosi rappresentative dello spirito di Jim Morrison, a cui è appunto dedicato questo articolo, che farne riferimento sembra quasi doveroso, sembra quasi che ciò lo riporti in vita “metaforicamente” nelle sue canzoni, in quelle note che ancora oggi, fin dal primo attacco, suonano solo del sound inconfondibile dei Doors.
I live sono croce e delizia delle band: ci sono alcuni gruppi che dichiaratamente mostrano di amare molto di più il contatto con il pubblico rispetto alla sala d’incisione mentre altre hanno serie difficoltà a trovare il giusto filo conduttore che porta il pubblico e chi sta sopra al palco a diventare un tutt’uno.
Jim Morrison, in questo, era un maestro assoluto: ci sono stati diversi personaggi in grado di fare del palcoscenico la propria anima ma nessuno è riuscito a farlo come lui. Ancora oggi, vedere qualche minuto di un’esibizione dal vivo della band è qualcosa di molto emozionante: quel rettangolo di palco sembra diventare la cornice perfetta di una manifestazione di sentimenti, musica, poesia, targata Jim Morrison e soci.
Nel corso della sua ascesa verso il pubblico e verso le hit mondiali, Jim Morrison con il suo immancabile gruppo, continua a nutrirsi di letteratura spaziando dall’amatissimo Rimabud per passare a Nietzsche e al manifesto del gruppo, un pensiero di William Blake.
La vita di una star è fatta di molte luci accecanti ma anche di ombre che sono difficili da far sparire. Gli eccessi non sono mai giustificati e i paragoni che si potrebbero fare per spiegare l’addio di Jim Morrison sono molteplici, uno su tutti Kurt Cobain. L’abuso di alcol e di droghe, negli ultimi anni della sua carriera, aveva messo a dura prova la capacità di giudizio di Jim Morrison che proprio per questo motivo si era allontanato dagli USA per volare in una terra piena di poesia e di “drammaticità esistenziale” quale Parigi.
La tomba di Jim Morrison al Père Lachaise è una tappa che, ancora oggi, a distanza di quarant’anni, raccoglie la presenza di migliaia di fan, ogni giorno. Cosa sia giusto ed equilibrato dire in merito, riguardo alla sua vita e/o morte, va a giudizio del tutto personale.
Personalmente credo che Jim Morrison sia stata una delle persone più interessanti del panorama musicale dello scorso secolo. La sua conoscenza letteraria e quella capacità unica di conquistare i fan gli ha permesso di raggiungere un successo musicale e non solo, impossibile da immaginare precedentemente. Il fascino di Jim coglie ancora tutti in modo molto vivido e basta una canzone, qualche nota, quella voce che risuona per alcuni istanti per capire la traccia che ha lasciato in soli ventisette anni di vita.
E quest’omaggio a Jim Morrison può solo finire con una canzone, una di quelle che ogni volta che la si ascolta lascia dei brividi addosso e una strana sensazione: “The End”.
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