Pensavamo che tutto si sarebbe concluso con la sentenza del processo, ma la vicenda Michael Jackson-Dottor Murray non ha ancora trovato una fine.
Appena lo scorso 7 Novembre la giuria ha emesso il suo verdetto, dichiarando il medico colpevole dell’omicidio non volontario della pop star. La parola passa ora al giudice, che ha il compito di formulare la pena da scontare: voci di corridoio vogliono che il Dottor Murray possa cavarsela al massimo con appena 4 anni di carcere.
L’udienza in cui verrà comunicata l’entità della pena avrà luogo il prossimo 29 Novembre, personalmente ero convinta che fino ad allora non avremmo più sentito parlare del Dottor Murray, invece il pericolo era dietro l’angolo.
A breve uscirà “Michael Jackson And The Doctor: A Fatal Friendship”, documentario che racconta tutto il rapporto personale oltre che medico-paziente, tra il Re del Pop ed il suo dottore. Un film che sta suscitando molto scalpore, in cui il Dottor Murray racconta come è arrivato a curare Michael Jackson e come la situazione si è evoluta fino al decesso del cantante il 25 Giugno 2009.
Rivelazioni shockanti che aprono ad aspetti della vita del cantante che non ci saremmo mai aspettati e che il Dottor Murray si sarebbe potuto risparmiare di rivelare.
Nel documentario, infatti, rivela come abbia trovato il suo paziente in uno stato di degrado psicologico e fisico: a quasi 50 anni Michael Jackson faceva ancora la pipì a letto, la sua camera da letto non veniva mai pulita, c’era cattivo odore ed are ammuffita.
Parla anche del rapporto che si era venuto a creare tra loro: Michael Jackson era profondamente solo, l’unico che considerava amico era proprio il medico che lo seguiva con tanta assiduità.
Il Dottor Murray avrebbe voluto poter mollare, ma non poteva, sentendosi caricato non solo di una responsabilità clinica ma anche di un’amicizia, che non poteva rompere, per non compromettere lo stato già precario delle condizioni psichiche di Michael Jackson.
Arriva anche a parlare del propofol, il farmaco anestetico da cui Jackson era dipendente e che ne ha causato la morte. Il cantante non lo chiamava con il suo nome specifico, bensì “latte”. Ne richiedeva dosi sempre più forti, come ha dichiarato il Dottor Murray:
Mi ha pregato e supplicato dicendomi “Per favore Dr. Conrad, ho bisogno di latte affinché io possa riuscire a dormire. Se non riesco a dormire, andrà tutto a rotoli. Mi ha guardato con la sua espressione da Thriller, sembrava isterico… Non glielo consigliai io. Non avrei mai consigliato propofol al signor Jackson. Aveva bisogno di liberarsene e riprendere un normale stato di sonno.
Durante il processo la difesa ha puntato tutto sulla dipendenza di Jackson dal propofol, che lo avrebbe portato ad iniettarsene da solo dosi sempre maggiori, compreso il giorno della sua morte.
Tra poco più di sue settimane il giudice dirà cosa ha deciso, quale sarà la pena da far scontare al Dottor Murray.
Avrei preferito che si fosse risparmiato simili dettagli, che dovrebbero a mio avviso rimanere tra medico e paziente, è davvero triste e penoso (per il Dottor Murray, si sintende) sentire certi racconti.
Ed aumenta in me il timore che questo, anzichè la fine, sia solo l’inizio.