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Comma: “Visionario”. La recensione

Reduce dal successo del singolo “L’escluso“, primo in classifica download di Mondadori shop per più di un mese, Pierpaolo Mazzulla, in arte Comma, cantautore calabrese pop/rock dalle chiare influenze brit-pop, esordisce con il suo disco “Visionario“. Il disco, prodotto dalla MKRecords, vede la collaborazione di Andrea Orlando ai testi e di Valter Sacripanti alla batteria e alla produzione del disco (avendo già collaborato con artisti del calibro di Nek, Ivan Graziani e Eugenio Finardi).

Comma - "Visionario" - Artwork © sito ufficiale

Il disco, rigorosamente in italiano, è composto da dieci tracce, e si apre con la traccia omonima, un bel pezzo molto orecchiabile e che colpisce in modo molto positivo, risultando uno dei brani più riusciti del disco, grazie anche ad un testo molto ben legato alla musica. La fusione tra musica e testi è una delle note dolenti del disco, dato che in alcuni casi sembra che la musica sia forzatamente plasmata sopra ai testi, diventando in alcuni casi delle vere e proprie poesie musicate, e questo è sempre un gioco molto rischioso (ne sanno qualcosa gruppi come Il Teatro degli Orrori e i Massimo Volume, solo per fare due esempi).

Rischio che secondo me non vale la candela per esempio nel caso de “L’escluso“, un pezzo con una buona linea musicale ma che in alcuni punti non mi convince appieno per la fusione musica-parole.

Testi molto poetici che si confermano nei due brani successivi, “Tramonto” e “Anime“, pezzi molto diversi ma legati da un testo molto brillante: “Tramonto” è un pezzo lento e molto in linea con la tradizione musicale italiana, mentre “Anime” è un pezzo guidato da un drumming abbastanza serrato e da una voce sporcata, quasi lo-fi, con un bel ritornello (“minuti di ore e giorni di secoli“).

Le due canzoni dopo, “Avrei voluto Amore” e “Granello di cielo“, ci fanno conoscere la vena intimista (ed eccellente, per quello che mi riguarda) di Comma e richiamano molto alla mente lo stile dei Negramaro (“Avrei voluto dirti… Amore… ma con un bacio non si può dire addio“). Soprattutto “Granello di cielo” richiama molto il sentimento descritto da Dino Buzzati nella sua “Un amore” ed è una di quelle canzone che credo ascolterò per molto molto tempo.

Un passetto in avanti e troviamo “Due corpi“, un pezzo che piace soprattutto per la musica (tanto che mi sono trovato a battere i piedi per terra seguendo il ritmo della batteria) e “L’inizio della fine dell’amore“, una canzone che esamina a fondo la paura della fine di una relazione, quella sensazione di fine imminente che solo chi ha perso qualcuno conosce bene.

L’odore del dolore“, la penultima canzone e la più lunga del disco, suona come una confessione di qualche cosa che si è persa nel passato ma che si vuole ancora ricordare, portare con sé uno spiraglio, un raggio di luce da tenere dentro di sé, come un amuleto. Ma è tempo di chiudere e il pezzo conclusivo, “Fame“, esprime la paura del cantautore di non sentire più la bellezza del mondo che lo circonda, in una sorta di prigione, di apatia creativa e sentimentale che Comma vede come morte interiore, invocando invece la voglia di continuare a sentire.

Il disco, come dicevamo prima, è molto apprezzabile soprattutto dal punto di vista musicale: davvero ben curati gli arrangiamenti e ben musicate le canzoni, che non scadono mai nel pochismo musicale. Discorso a parte secondo me meritano i testi, molto ricercati e che in alcuni casi si fondono davvero bene con la musica, creando un connubio davvero apprezzabile. Quando questo risultato stride, invece, si fa fatica a non premere il tasto “FFWD” sul lettore. Ma reputo che sia un “peccato di gioventù” ampiamente superabile, soprattutto con l’affinamento della fase di “labor limae” dei testi.

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