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Marilyn Manson: “Born Villain”. La recensione

Se mi fermo un attimo a ripensare quali sono stati i dischi simbolo degli anni Novanta, un posto d’onore va a “Antichrist Superstar” e a “Mechanical Animals”; Brian Hugh Warner può non piacere, può essere eccessivo, può essere macabro ma quei due dischi ebbero un impatto, sul periodo musicale vigente, assolutamente mostruoso.

Due dischi che sembrano ancora così attuali come lo devono essere i prodotti discografici che hanno un qualche valore. Marilyn Manson, negli ultimi anni, era un po’ sparito: non tanto in quanto aveva smesso di fare dischi oppure si era esiliato a vita tranquilla e appartata, semplicemente, sembrava aver perso quello smalto (ovviamente nero) che ci si aspetta da ogni disco del Reverendo e soci.

Non che Marilyn Manson abbia mai fatto un suono ascoltabile dalle grandi masse, non che Marilyn Manson abbia mai preteso di arrivare all’ascolto di tutti ma di certo, nella sua carriera quasi ventennale le sue soddisfazioni se le è sempre prese e, anche “Born Villain” risulta essere un disco a cui va un giudizio positivo.

Ecco che è giunto il momento di parlare proprio di questo lavoro che, come abbiamo già riassunto, è uscito il 30 aprile 2012 nella stragrande maggioranza del mondo e in tutto il globo l’1 maggio 2012 e ha avuto un periodo di registrazione e gestazione abbastanza lungo: inciso fra il 2009 e 2011 l’album ha visto anche l’arrivo di Jason Sutter alla batteria. Il disco sarà supportato da un tour mondiale che, fortunatamente, toccherà anche l’Italia e arriva proprio a tre anni dall’ultimo lavoro, tale “The High End of Low” che, dire sia finito nel dimenticatoio, non è poi così sbagliato.

Marilyn Manson - "Born Villain"
Marilyn Manson - "Born Villain" | © Pagina Facebook

Marilyn Manson: “Born Villain”, l’analisi del disco

Non ci si può immaginare un sound diverso da questo, io credo, quando si parla di Manson. Una carriera costruita a forza di suoni duri ma ascoltabili, suoni industrial ma comunque sia assimilabili, capibili, diventati dei veri e propri tormentoni. Marilyn Manson ha sempre avuto la grande capacità di stupire tutti e anche in questo caso, non si è tirato di certo indietro con tanto di collaborazione con Shia LeBeouf nonché quella con Johnny Depp. Insomma, “Born Villain” suona come il ritorno sulle scene di Manson come noi tutti ce lo ricordiamo e, probabilmente, da lui non si vuole altro.

Marilyn Manson - "Born Villain" - Artwork
Marilyn Manson - "Born Villain" - Artwork

Tracklist – “Born Villain” – Marilyn Manson:

  1. Hey, Cruel World
  2. No Reflection
  3. Pistol Whipped
  4. Overneath The Path of Misery
  5. Slow-Mo-Tion
  6. The Gardener
  7. The Flowers of Evil
  8. Children of Cain
  9. Disengaged
  10. Lay Down Your Goddamn Arms
  11. Murderers Are Getting Prettier Every Day
  12. Born Villain
  13. Breaking the Same Old Ground
  14. You’re So Vain (feat. Johnny Depp)

Se dovessimo trovare una pecca a questo disco, sarebbe il fatto che alcune canzoni risultano profondamente uguali, bisogna riascoltarle ancora e ancora, specialmente nella prima parte del lavoro, per poi saperle distinguere. “No Reflection”, però, ha il potere di risultare davvero un ottimo singolo e, non ci si stupisce che è stata proprio scelta questa canzone per presentare l’ottavo disco in studio della band.

L’apertura del lavoro avviene grazie a “Hey, Cruel World”, indipendentemente dalla musicalità del brano, lo stesso testo nonché titolo sembra voler essere una provocazione verso l’ascoltatore, quasi a dire “Eccoci ritornati, mondo crudele, siete pronti?”

Una menzione d’onore va a “Slow-Mo-Tion” con un suono così dannatamente sensuale e ammaliante, senza dimenticare che chi canta è Manson e stiamo parlando di industrial music. Il disco scorre bene, scorre fra suoni che l’orecchio umano non riesce a distinguere (parole dette dallo stesso artista). Se le prime cinque canzoni risultano quasi riportare l’ascoltatore in pieno stile della formazione, da “The Gardener” in poi c’è maggior sperimentazione. Insomma, va bene tutto ma quattordici canzoni troppo uguali, probabilmente, avrebbero stufato anche un profondo amante del Reverendo.

“The Gardener” mostra un Marilyn Manson che racconta e urla, che poi passa a “The Flowers of Evil”, con un titolo poeticamente encomiabile. E’ un disco che si costruisce quasi a spirale, quasi fosse un lavoro che voglia e debba riportare l’attenzione su Marilyn Manson e soci senza però avere la volontà di provocare lo shock di dieci anni fa.

 “Children of Cain” ha un ritornello quasi cantabile, la potenza di “Disengaged” si vedrà live, “Lay Down Your Goddamn Arms” è un inno-Manson, “Born Villain” stupisce profondamente, con questo inizio calmo che fa subito controllare se si sta ascoltando davvero un disco del Reverendo. Poi, appena Brian inizia a cantare, tutto risulta più chiaro e si inizia a capire meglio questa canzone che sicuramente un pizzico di dubbio la porta con sé; dubbi però positivi, una volta che si riascolta la traccia che ha donato il titolo al disco, si riesce a capire meglio l’essenza totale di questo lavoro.

Prima della versione radio di “No Reflection”, l’attenzione va a questa “You’re So Vain” che inevitabilmente sposta l’attenzione su Johnny Depp. La canzone è una cover del brano di Carly Simon che il Reverendo ha voluto sperimentare con l’amico attore. Un pezzo che è targato 1972 ma che in questa veste risulta di nuovo un esperimento, insomma, quando si ha un chitarrista d’eccezione come Depp e il figlio Jack alla batteria, l’attenzione viene catturata.

In definitiva, “Born Villain” entusiasma più che altro perché ci troviamo davanti ad un puro e scintillante ritorno di Marilyn Manson. Certo, non siamo più a fine anni Novanta, il XXI secolo si stupisce di meno, si entusiasma di meno, ma si spaventa anche di meno. Se solo quindici anni fa Marilyn Manson veniva visto come l’incarnazione del diavolo, ora, probabilmente non fa più timore a nessuno. La sua musica, però, è sempre quello che ha contato e “Born Villain” riporta in alto la parabola discendente in cui la band era inevitabilmente caduta.

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