Incidere un solo album e rimanere nella storia della musica. Un’impresa incredibile che è riuscita a Jeff Buckley, di cui oggi 29 Maggio ricorrono i 15 anni dalla tragica morte. Molto mistero aleggia attorno a questa scomparsa che improvvisamente e troppo presto ha tolto al mondo un uomo dalla sensibilità estrema ed alla musica un artista eccezionale. E’ morto per annegamento, mentre stava facendo un bagno nel fiume Mississippi, per una sfortuna serie di eventi, eppure molti sostengono che l’uso di alcool e droghe abbia a che vedere con questa vicenda. A prescindere da tutte le elucubrazioni a posteriori che ciascuno di noi può fare, contrastando perfino rapporti della polizia e del medico legale, oggi dobbiamo onorare un uomo che in pochissimo tempo ha dato tanto, tutto al mondo della musica.
Jeff Buckley ci ha lasciati all’età di 31 anni, ci ha lasciati con un’eredità esigua solo in numeri: morto il 29 Maggio 1997, aveva pubblicato tre anni prima il suo album “Grace”, considerato ad oggi un vero e proprio capolavoro. Solo dopo la morte è stato ripreso “Sketches for My Sweetheart the Drunk”, iniziato a registrare poco prima della tragedia e rimasto inconcluso. Sebbene siano solo due dischi quelli effettivamente prodotti e distribuiti, i brani in essei contenuti sono rimasti nella storia e, soprattutto, nel cuore di tutti.
Cosa avrebbe potuto ancora dare alla musica, se solo non fosse morto. Parole che forse sembrano banali o di circostanza, ma mai furono più veritiere: una personalità controversa, dalla sensibilità unica, ricco di sentimenti ed emozioni che riusciva a riportare, sfogare in ciò che scriveva. Mai banale, scontato, uguale a sé stesso, ha creato melodie che a distanza di più di 15 anni ancora colpiscono e ci prendono nel profondo.
Grande “divoratore” di musica, prima che musicista, amava il jazz e l’hard rock, ma anche la musica leggera: tra gli artisti che ha amato ha spesso citato Duke Ellington, i Led Zeppelin, Nina Simone, Edith Piaf, Judy Garland. Difficile definire i suoi tanto quanto è difficile dargli un’etichetta per il genere di musica che ha poi realizzato. Uno spirito libero che non può essere rinchiuso in confini e paradigmi.
Figlio naturale di Tim, uno dei padri del rock, Jeff Buckley è in realtà cresciuto con il secondo marito della madre, che ha rivestito un ruolo fondamentale nella sua formazione umana ed artistica. Partito da Orange County col suonare in giro per caffè e piccole manifestazioni, non ha mai approfittato della sua condizione di figlio d’arte, pur partecipando al concerto tributo al padre dopo la morte per overdose.
Nella storia è rimasta anche la sua cover di “Hallelujah” di Leonard Cohen, di cui vi proponiamo un ascolto al termine dell’articolo. Jeff Buckley è impossibile da definire, l’unico mezzo per parlare effettivamente di lui è ascoltarne la musica, quella musica in cui lui ha messo ogni stilla della propria anima. Ce l’ha regalata, ce l’ha lasciata come prezioso ricordo di sé.
Oggi, dopo 15 anni, è bello immaginarlo mentre nuota nel Mississippi cantando con il sorriso sul volto “Whole Lotta Love” dei Led Zeppelin. Cantando.
Jeff Buckley “Hallelujah”
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