Rientrare nella definizione di un genere musicale è assai complicato, ma in linea di massima per alcune sonorità si riesce a trovare la giusta collocazione entro una specifica influenza. Uno dei generi la cui radiazione è molto ampia è sicuramente l’house. Nata alla fine degli anni 80, la musica house ha colonizzato le discoteche nel primo decennio del ventunesimo secolo, seguendo immediatamente la corrente dance anni’90.
La musica house non rientra assolutamente nella descrizione sintetica di un genere musicale qualsiasi, ma trova la giusta spiegazione in numerose digressioni musicali, figlie legittime del genere madre house. Frankie Knuckles è il padre in assoluto della musica house, la quale come già accennato vanta influenze dalla disco music e dalla musica di fine anni settanta a metà tra la dance e la funk.
Dopo aver ripercorso per un po’ la storia delle serate danzerecce alle quali prendete parte ultimamente, vi presentiamo colui che con l’house ha deciso di viverci, e nonostante abbia riadattato il genere alle attuali esigenze melodiche, quasi ribaltandolo, ha deciso di lasciarne intatto il carattere. La moda del clubbing non finirà mai, e se per caso questa dovesse scontrarsi anche con la raffinatezza e il gusto con il quale Ben Pearce decide di mettere mano alla sua musica l’effetto potrebbe essere dei migliori.
What I Might Do merita un occhio di riguardo, merita quell’attenzione che non siamo soliti prestare ad un genere musicale come questo (tutt’altro che trascurabile) e sicuramente l’udito più esperto saprà darci una mano a riguardo mostrandosi interessato all’intera produzione di Pearce. Cresciuto a Manchester con biberon di musica punk, l’attuale esponente numero uno della deep house vanta già alcuni numeri importanti: le prime posizioni della classifica di Beatport e la nomination di Pete Tong come Essential New Tune sulla BBC Radio 1. Direttore creativo della Purp & Soul, sentiremo sicuramente parlare di lui con una risonanza internazionale, e come già succede, sta colonizzando i club di tutta Europa. Vantando numerosi remix, What I Might Do è raffinata al suo stato grezzo, nella linea musicale che rientra nel limite di 127 bpm, nel suo essere lenta, melodica e profonda. Il clubbing non è solo scandito da eccessi e rumore assordante, è anche deep house e sta a metà tra un jazz moderno e una dance più tranquilla, il che delinea in linea di massima l’evoluzione in meglio di alcuni generi. Ben Pearce ha molto da raccontare e tanto altro ancora da produrre, e se la sua carriera quasi ormai avviata si presenta in questi termini, aspettiamoci grandi cose.
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