E’ il fenomeno della rete del momento: Spotify è arrivato in Italia lo scorso 12 Febbraio 2013, in quello stesso giorno è stato inaugurato anche in Portogallo e Polonia. Una piattaforma di condivisione totalmente legale di brani ed album musicali, una libreria di 20 milioni di canzoni (ma in continua crescita ed aggiornamento) a cui accedere liberamente con un click ed una semplice registrazione. Il tutto, poi, gratuitamente. Il popolo della rete e dei social network l’aveva chiamato a gran voce, finalmente è arrivato ed i risultati sono stati impressionanti: nella sola prima settimana sono stati ascoltati 11 milioni di brani dagli utenti che si sono registrati alla versione free e alle altre due a pagamento. Abbiamo contattato Veronica Di Quattro, responsabile del mercato italiano per Spotify, con lei abbiamo analizzato l’enorme successo della piattaforma, cercando di capirne i motivi e i dettagli. Ecco che cosa ci ha raccontato. Spotify è stato lanciato in Italia lo scorso 12 Febbraio, sono passate due settimane.Nei soli primi sette giorni sono stati ascoltati 11 milioni di brani, un bilancio sicuramente positivo. Vi aspettavate un riscontro così forte?
Il riscontro che c’è stato ci ha stupito positivamente, nel senso che, ovviamente, sapeva che c’era una grande attesa, anche dai social emergeva questa richiesta di essere presenti anche in Italia, ma i risultati che abbiamo avuto hanno superato anche quelle che erano le nostre aspettative. Già dalla prima settimana abbiamo avuto dei risultati positivissimi, anche i social come Facebook e Twitter hanno confermato positivamente che gli utenti italiani attendevano l’arrivo di Spotify. Tant’è vero che alla mezzanotte tra l’11 e il 12 Febbraio, quando abbiamo cominciato a rendere attivo il servizio, quello che è stato impressionante analizzare è stato vedere come la voce si stesse già spargendo in maniera organica, di come fosse già possibile registrarsi e infatti già all’alba del 12 abbiamo avuto molte registrazioni.
Il progetto è nato a Stoccolma nel 2006, da lì poi ha preso piede nel resto d’Europa e del mondo. Da noi è approdato solo 7 anni più tardi. Quando si è cominciato a pensare di portare Spotify anche in Italia e perché è stato scelto proprio questo momento come il più opportuno per il lancio?
Ci sono motivazioni molteplici: da una parte, dal punto di vista strategico dell’azienda si cerca di spalmare i lanci nel corso dell’anno, anche perché si vuole essere sicuri di avere in loco un team giusto, che sia in grado di preparare la strategia di entrata nel Paese nel modo migliore possibile. Ogni volta che noi lanciamo Spotify in un Paese c’è sempre grandissima cura sia del contenuto tecnico che del catalogo. Dall’altra parte questo era il momento giusto perché avevamo visto come stava andando negli altri Paesi, il successo che aveva avuto localmente, quindi era chiaro che il momento dell’Italia stava diventando sempre più vicino. Poi, come dicevo, è cresciuta la richiesta degli utenti italiani, sono nati anche gruppi indipendenti su Facebook, abbiamo colto al volo l’inizio del nuovo anno per lanciare. La data esatta del lancio era stata decisa a livello aziendale, indipendentemente dal Festival di Sanremo, infatti abbiamo lanciato in quello stesso giorno anche in Portogallo e Polonia. Ovviamente, poi, abbiamo colto l’occasione per sottolineare il contenuto italiano nel nostro supporto alla musica italiana.
L’integrazione tra Spotify e social network è un elemento portante dell’impostazione dell’intero progetto. Credi che ciò abbia contribuito al suo successo? O, mettendola sotto il punto di vista contrario, senza tale integrazione avrebbe avuto la medesima forza?
L’integrazione con i social network è sicuramente uno dei punti di forza di Spotify, il fatto di poter condividere musica di qualità con la tua rete di amici aggiunge qualcosa in più all’esperienza Spotify.In particolare l’integrazione con Facebook è stato un acceleratore, questa partnership a 360 gradi ha permesso non solo l’accesso tramite le credenziale Facebook, ma anche la condivisione in entrambe le piattaforme. Ma anche gli altri social sono importanti, a Marzo verrà lanciata l’applicazione Follower, grazie alla quale si potranno seguire anche personaggi dello spettacolo. Quindi la partnership si è andata a spostare anche su altri livelli.
Vorrei affrontare la questione del download e della condivisione illegale della musica, una vera piaga del panorama italiano e non solo. La vostra piattaforma si può porre come un rimedio a questo problema? Quali sono le strategie che si potrebbero applicare per risolverlo?
Spotify nasce per fornire un’alternativa legale all’utilizzo della musica in streaming, la volontà iniziale dei fondatori, Daniel Ek e Martin Lorentzon, era quella di combattere la pirateria musicale. Ci si è accorti che il 52% dei ricavi dell’industria musicale venivano tolti dall’uso illegale della musica, perché mancava un’alternativa semplice, intuitiva, divertente da utilizzare. Sta funzionando contro la pirateria: in Paesi nordici come la Svezia, dove è stato lanciato da più tempo, hanno dimostrato che la fetta di utenti che usa Spotify è in buona parte la stessa che avrebbe scaricato quei contenuti digitali in modo illegale, nella stessa Svezia nel 2012 si ha avuto l’incremento più alto nel settore della musica dal 2005. E’ conferma dello spostamento dal legale all’illegale, dove ogni riproduzione viene monetizzata e distribuita alle case discografiche e agli artisti.
Si parla molto di “musica liquida”, svincolata dal supporto fisico, principio alla base di Spotify. Michele Manganelli, presidente di Assodigitale, in una recente intervista da noi realizzata, ha dichiarato che tali supporti si sono uccisi da soli, per motivi vari tra cui i costi elevati, e che una piattaforma come la vostra non aggrava la situazione ma vi si inserisce soltanto. Qual è la tua posizione in merito?
Concordo assolutamente con Manganelli: il mercato fisico era in declino già da prima dell’arrivo di Spotify, il nostro impatto non può essere messo in relazione con il suo trend, E’ anche vero che la musica liquida permette di scoprire o testare cantanti, brani e album e poi risolversi in acquisto. Anzi, può essere un canale che può andare in parallelo a questo.
Avete messo a disposizione circa 20 milioni di brani, oltre alle hit del momento avete inserito anche brani e gruppi storici della musica internazionale. Eppure guardando le prime classifiche, ad andare per la maggiore sono stati singoli e artisti che impazzano anche nelle radio in queste settimane. Come interpreti questo dato? Può celare una sorta di disinteresse verso il passato, anche quello più illustre?
Un’interpretazione duplice: da una parte gli utenti tipici di Spotify, che lo utilizzano per scoprire i gruppi particolari o di nicchia, dall’altra quelli che si affidano ai consigli degli amici di Facebook o cercano le canzoni più ascoltate. Spotify può quindi essere usato per qualsiasi tipo di profilo. Non è una questione di disinteresse verso un genere piuttosto che un altro, ma sono modalità differenti di utilizzo, dal momento che si rivolge a tutti e può essere utilizzato da tutti.
Dopo un esordio di successo, risulta sempre ardua la sfida del mantenere i risultati ottenuti, magari ottenuti sull’onda della novità. Come pensate di riuscire a mantenere questi standard in futuro?
Ci aspettiamo che il brand cresca e venga conosciuto come successo negli altri Paesi sia in maniera organica, sia attraverso l’interazione tra le varie partnership che attiveremo. Vogliamo che ci siamo una comprensione da parte dell’utente italiano, che magari è nuovo alla digitalizzazione e all’uso in streaming on line della musica, del modello di business di Spotify e che ne possa apprezzare le potenzialità da tutti i punti di vista, fino ad arrivare ad utenti appassionati come negli Stai Uniti o nel resto del mondo.