C’era molta attesa attorno a questo nuovo disco degli HIM, formazione di metal romantico finlandese di Helsinki fondata nel 1991 dal cantante Ville Valo, dal chitarrista Lily Lazer (Mikko Lindström) e dal bassista Mige Amour (Mikko Paananen) e che comprende anche il tastierista Emerson Burton (Janne Johannes Puurtinen) e il batterista Gas Lipstick (Mika Kristian Karppinen). Gli ultimi album avevano mostrato una certa deriva stilistica del gruppo dal suo metal melodico (noto come “love metal”) verso un rock più convenzionale, e molti fans erano in attesa di un nuovo lavoro da parte della band per avere o meno una conferma di questa deriva. E alla fine quel lavoro arrivò, “Tears on tape“.
Con “Tears on tape” ci troviamo di fronte ad un album da oltre 70 minuti composto da ben 20 tracce, un lavoro corposo dunque. Il disco si apre con la cantilena musicale di “Unleash the red” e poi parte subito con il rock. E qui subito parte un piccolo aggrottamento di sopracciglia.
Io (come credo tanti altri ascoltatori e lettori) ho conosciuto gli HIM con la cover di “Wicked game” di Chris Isaak e con altre canzoni che hanno mostrato come il gruppo esplorasse un metal abbastanza melodico con puntate nel gothic (come “Disarm me (with your loneliness)”), con Ville Valo che esibiva un fascino da rocker vissuto e maledetto e con canzoni che trasudavano amori strappati e sangue versato a piene mani; ora mi ritrovo tra le mani un disco di rock all’apparenza normalissimo e un po’ all’acqua di rose rispetto al metal torbido e malizioso dei primi tempi. Se non credete alle mie parole, basta ascoltare “Love without tears” o la title track per farsi un’idea.
Lungo l’ascolto del disco nella mia mente si forma lentamente un paragone, che si rafforza man mano che le tracce scorrono: non sto ascoltando gli HIM, forse, ma probabilmente sto ascoltando i Poets of the Fall, altra formazione sempre del Nord Europa dal rock molto piacevole e che si è fatta conoscere per alcune canzoni come “The late goodbye“. E se questo potrebbe deporre da un lato a favore degli HIM, dall’altro potrebbe andare a loro discapito visto che gli HIM partivano da un background decisamente differente e che solo negli ultimi lavori si sono evoluti verso questo ammorbidimento dei suoni e questa ricerca della melodia con una chiave più corale e un addomesticamento maggiore delle chitarre.
Stranamente, da circa metà disco, ovvero dalle canzoni “When Love starts to die” e “Join me“, il sound degli HIM sembra tornare lentamente alla “normalità”, ovvero alla normalità degli HIM, con canzoni che rientrano appieno nel filone del “metal love”. Rimane comunque metà disco pieno di musica buona ma irriconoscibile se si paragona alla carriera degli HIM. Nel dare il voto finale a questo disco la mia decisione non può non risentire di questo. Mi chiedo se ai fan piacerà questo lavoro. Più che His Infernal Majesty sembrano gli His Infernal Modesty.