I Thirty Seconds to Mars sono tornati con il nuovo, attesissimo lavoro, dal titolo “Love, Lust, Faith and Dreams” scritto anche “Love, Lust, Faith + Dreams”.
Quattro dei termini più usati nel linguaggio comune, dall’amore ai sogni, tutto sembra far parte del macro-mondo, non solo musicale, dei Thirty Seconds to Mars giunti alla pubblicazione del loro quarto album. La band americana formatasi nel 1998 a Los Angeles, attualmente detiene il record come tour più lungo mai effettuato a supporto di un solo album, grazie a “This Is War”, la pubblicazione di un singolo direttamente spedito nello spazio “Up in the Air” e chissà quali altri progetti in programma. La voglia di superare i limiti è sempre stata una carta ben sfruttata dalla band e fino ad ora vincente.
Di certo al gruppo di Jared Leto va dato atto di essere sempre alla costante ricerca di una via d’espressione particolare, una sperimentazione che non tocca solo le famose sette note, ma si espande a dismisura. Tutto nei Thirty Seconds to Mars è rumoroso, sfarzoso, sontuoso, quasi accecante.
Le tematiche affrontate da “Love, Lust, Faith and Dreams” sono racchiuse proprio nelle quattro parole cardini di tutto il concept album. Il disco è suddiviso in quattro segmenti chiamati naturalmente Love, Lust, Faith and Dreams e all’inizio dei segmenti vi è una voce femminile che li annuncia. Dalla cover di Damien Hirst passando per il video di “Up in the Air”, dove fanno sfoggio diverse bellezze capitanate dalla regina del burlesque Dita Von Teese, i Thirty Seconds to Mars regalano un disco supportato da una idea di fondo intrigante. Non si può piacere a tutti e questo è certo ma Jared Leto, Shannon Leto e Tomo Milicevic sanno come conquistare i propri fan.
Thirty Seconds to Mars – “Love, Lust, Faith and Dreams”: track by track
Ambizione o arroganza? Questo sembra essere il grande interrogativo quando si parla dei Thirty Seconds to Mars. In queste dodici canzoni c’è una complessa rappresentazione della band, da alcuni giudicata altezzosa, presuntuosa e sfacciata da altri ritenuta grandiosa, alla continua ricerca di una dimensione sempre più enorme e particolare.
Si parte con “Birth” e una delicata voce femminile che introduce il brano con “Love”. Una pomposa marcia che ricorda le sonorità di “This Is War” e dei precedenti lavori. La voce di Jared delicata e sinuosa s’inserisce sul ritmo del brano e la domanda “Are you lost?” riecheggia fino alla fine del disco. La canzone ha un magistrale impatto ritmico e vi è un forte salto sonoro che richiama all’attenzione l’ascoltatore quando inizia “Conquistador“. Classica canzone perfettamente inseribile nel sound identificativo dei Thirty Seconds to Mars. “I am the, I am the best / She claimed and more / A battle scarred conquistador”, c’è altro d’aggiungere? Una canzone potente, travolgente e trascinante, perfetta per la dimensione live. Eccoci al singolo “Up in the Air“, di cui abbiamo già detto moltissimo. Dal ritmo forse fin troppo commerciale, la canzone ha il cosiddetto martellante ritmo ballabile, brano di facile immedesimazione, non ci si stupisce che sia stato scelto come singolo. La voce di Jared Leto fa quello che sa fare meglio, passa alla velocità della luce dai sussurri agli urli.
“City of Angels” è una ballatona intima e profonda, di cui ci s’innamora facilmente, forse troppo facilmente. Si passa a “The Race“, traccia solida che gioca sulla frase “I’m not running, I’m not running”. Ci sono tutte le caratteristiche tanto amate dai 30 STM, cori, cambi repentini di ritmo, ritornello semplice e per questo perfetto per diventare un tormentone. Canzone numero sei e troviamo “End of All Days“, pezzo struggente e tormentato dove i Thirty Seconds to Mars si spogliano di qualunque velleità e quello che rimane è la voce di Jared e un minimale accompagnamento musicale. “Pyres of Varanasi” è il brano musicalmente più complesso dell’intero disco, si parte da un impianto orchestrale, dalle tinte profondamente classiche, passando ad un ritmo tribale che sfocia in uno quasi delirante e psichedelico. Non mancano spruzzate d’elettronica. Inoltre, vi è un richiamo alla marcia drammatica già sentita nella canzone d’apertura “Birth” ma il tutto tinteggiato da un suono ancor più scuro e inquieto.
Si arriva in un misto di sensazioni contrastanti a “Bright Lights” e i 30 Seconds to Mars diventano indie. Un brano dalle sonorità leggere, che scorre velocemente sulla pelle dell’ascoltatore lasciando una sensazione positiva. “Do or Die” probabilmente è una canzone totalmente dimenticabile, ci sono i soliti cori e un impianto musicale già sfruttato all’interno di questo disco e non solo. Si passa velocemente a “Convergence“, pezzo strumentale che permette di prendere una piccola sosta per il rush finale, un motivetto semplice e per questo ancor più interessante visto che di complessità ce ne è fin troppa in questo disco. “Northern Lights” inizia come una ballata struggente per poi recuperare verve solo dopo pochi secondi anche se aleggia sempre una sofferenza di fondo. Un brano toccante nella sua stravaganza. Si conclude con “Depuis Le Début“, pezzo acustico che inizia con tonalità country per poi sfociare in una sezione d’archi, i quali producono un ritmo molto allarmante, quasi angosciante. Gli ultimi trenta secondi, invece, sono riempiti dal suono di un carillon; così si conclude “Love, Lust, Faith + Dreams”.
In definitiva “Love, Lust, Faith and Dreams” risulta essere un album molto complesso. Le canzoni sono solo dodici ma vi è una particolarità di fondo, un uso di così tanti suoni che in realtà vengono percepite come molte di più, appare essere un lavoro multiforme. I Thirty Seconds to Mars sono una band senza tante vie di mezzo e probabilmente, ancora una volta, il pubblico degli amanti della musica verrà spaccato a metà. Ambizione o arroganza? In questo caso sapiente ambizione.