Il suo album di debutto ci era sembrato un apprezzabile tentativo di intraprendere una strada differente, e il secondo di Miles Kane “Don’t Forget Who You Are” sembra riportarci un po’ indietro nel tempo. Gli anni 90 ( e non solo) sono stati segnati da una corrente d’Oltremanica che discendendo fino a noi e sviluppandosi in tutto il globo ha dato vita a quel fenomeno che ancora oggi viene riconosciuto in una sola battuta come made in UK. L’inconfondibile impronta che la Gran Bretagna sembra marcare a fuoco su qualsiasi musicista sfornato dalla sua terra sembra però tramandarsi avanti negli anni, e se un buon esempio di Rock and Roll poteva essere dato dai Beatles, andando avanti e passando per gli Oasis, le correnti successive attuali sembrano aver preso quasi il peggio di tutto.
In principio era il Rock trasformatosi in Britpop, poi è diventato Indierock, poi diventerà tanto altro ancora. Miles Kane è nato nel 1986 ed è comprensibilissimo che abbia passato la sua giovinezza ad ascoltare i conterranei Oasis e i meno coetanei Beatles, ed è anche comprensibile che dopo aver dato vita ad un gran bel progetto con l’amico scimmia artica Alex Turner per formare i Last Shadow Puppets, abbia deciso di sviluppare il lato meno intrigante di quella musica per poter dare vita a quello che oggi è “Don’t Forget Who You Are“. I primi tre brani sembrano andare via tranquillamente, “Taking Over” è un bell’inizio energico caratterizzato dal suo timbro vocale abbastanza deciso, quasi impronta inconfondibile di tutta la produzione musicale di Miles. “Don’t Forget Who You Are” sembra un brano pescato da un vecchio juke box, un revival garage punk con un andante sostenuto e “Better Than That” è la traccia indierock per antonomasia. Dopo l’ascolto dei primi tre momenti musicali del disco veniamo catapultati in una serie di episodi abbastanza sentiti e risentiti in discografia, e se “Out Of Control” sembra essere una trasposizione oasisiana nel 2013, “Bombshells” ha un energico intro di chitarra e batteria, il che ci sembra una buona premessa alla svolta, ma non fa altro che ripetere qualcosa di già ascoltato, come se stessimo ricordando gli ormai defunti Subways.
“Tonight” presenta degli slanci rock di tutto rispetto, “What Condition Am I In ?” ci ricorda un po’ il giro di chitarra di Happy Birthday dei Beatles e “Fire In My Heart” ci ricorda molto il progetto dei Last Shadow Puppets così romantici e melodici da essere perfetti durante l’ascolto in spiaggia al tramonto. La fine del disco sembra arrivare, e speriamo le ultime tre tracce ci chiariscano un po’ le idee: “You’re Gonna Get It” vuole fare il verso a “My Sharona” e se pensavate di aver perso l’identità degli Strokes, nostalgici dei bei tempi vi suggeriamo di ascoltare “Darkness In Our Hearts“, perché sembra in essa riviva la beata gioventù di Casablancas di “Last Nite“. Insomma non necessariamente un continuo paragonare è sintomo di scarsa identità d’album, altroché, tutti quelli citati sono dei pezzi grossi della musica, ma cosa succede se poi si viene a scoprire che appartenevano tutti ad un genere differente?
L’ascolto di un album come questo richiede una buona dose di pazienza, perché in fondo, se vi aspettavate Miles Kane, e quindi quello dal caschetto stile Liam, un trench e un timbro vocale piuttosto insistente lo troverete, il problema è che non sembra avere una sua identità e malgrado l’aiuto di Paul Weller alla penna, i testi non siano chissà quanto stimolanti. Tutto sommato, come da premessa rappresenta un degno prodotto made in UK, senza infamia e senza lode.