Grandi aspettative su più fronti, attese snervanti e supposizioni a partire da pochi elementi come immagini, video di 30 secondi e secret show, tutto questo è “Reflektor“. Nell’era 2.0 la discografia mondiale subisce un totale capovolgimento di priorità, e se una volta poteva essere di vitale importanza produrre un disco di grande qualità attualmente viene prima essere maledettamente avanti e creare la snervante attesa da uscita discografica. Marketing a parte fortunatamente ci sono poche certezze attualmente nell’indie rock mondiale, e se da una parte si osservano catastrofici scioglimenti e scomparse inaspettate gli Arcade Fire sembrano rientrare tra le eccezioni che confermano la regola di chi comincia a fare musica non per il puro gusto di cavalcare l’onda.
“Reflektor” deve rispettare la grande capacità comunicativa dei fratelli maggiori non deludendo le aspettative che negli anni abbiamo maturato nei confronti di questa band e della sua produzione discografica. L’ultimo disco arriva forse per confermare ulteriormente quanta fiducia possa essere riposta in un cambio generazionale, ma forse per una band come quella degli Arcade Fire non ne avevamo bisogno. La teatralità a cui i canadesi ci hanno abituati nel corso degli anni forse viene un po’ smorzata per lasciare posto ad una sapiente nota danzereccia complice le mani di James Murphy degli LCD Soundsystem alla produzione, ma non abbiamo ancora visto alcun live che possa testimoniare questo cambio di programma, dunque affidiamo il giudizio ai concerti che verranno. Si nota tanta influenza caraibica ma non nel senso pop del termine, c’è una rivalutazione di quelli che sono suoni vecchi provenienti da “un altro tempo”.
Una provenienza esotica, suoni caldi e avvolgenti accompagnati da percussioni incalzanti e sempre più insistenti, che improvvisamente si calmano e lasciano degno spazio ad un genere quasi reggae ma più sofisticato e pensato. Il primo ascolto di Reflektor è dunque governato dall’impressione che sia ricco di cambiamenti musicali e di generi, complice una sperimentazione pensata e una produzione niente male, che ci distacca dagli archi e dall’enfasi di “Funeral” e “Neon Bible“, ci allontana dal rock quasi 70’s di “The Suburbs” e ci dirige verso un’ulteriore sfumatura rock nella quale gli Arcade Fire sembrano stare proprio bene. “Here comes the night time” racchiude in maniera microscopica il lavoro sperimentale macroscopico che è stato fatto su “Reflektor“, partito dalle strade con una guerrilla, arrivato fino ad un video psichedelico con riferimenti voodoo e riti provenienti da terre lontane. Scomodato il nome di un ritorno come quello di David Bowie la traccia che ha anticipato il disco diventa anche traccia prima, e non si smentisce né perde il suo colore, si ripropone sempre uguale come una perfetta suite d’ouverture.
Nel disco troviamo tante distorsioni in una pausa lunghissima come quella di “Joan of Arc“,”Awful sound (oh eurydice)” e “It’s never over (oh orpheus)” risultano dei veri e propri gioielli di questo disco, ma un pezzo come “Normal Person” che fa subito tanto Rolling Stones, ci fa ricordare che in fondo questo disco variopinto appartiene ad una band rock, e che non ci dispiace per niente avere questo incontro di culture tutte in un solo sound. Momenti sognanti e rivisitazioni, sentimentalismo in dose giusta, sarà arrivato in silenzio un concept album dalla variopinta versatilità discografica? “You already know” ci porta per un attimo indietro nel tempo e ci distacca dal mood di “Reflektor” con grande piacere, nonostante ogni tanto sia presente qualche suono che lega comunque il brano al resto del disco.
Più motivi si sviluppano in tutto l’album, ci troviamo su più livelli d’ascolto che si sviluppano sapientemente tutti con un’architettura sonora ben definita e degna ormai di una band che sembra avere alle spalle tanta esperienza. Brani lunghi, anzi lunghissimi che probabilmente al primo approccio allontaneranno l’ascoltatore con un contatto tutto d’un fiato, perché forse è un disco che va preso a piccole dosi data la straordinaria varietà presente. Se all’inizio avevamo pensato che Butler e compagni avessero perso la testa il corpo centrale del disco ci riporta con i piedi per terra facendoci ascoltare gli Arcade Fire di cui tutti siamo innamorati, tranquilli, pacati ma con una dannatissima sfumatura rock nell’animo. “Reflektor” porta tutto un carico di responsabilità al quale forse non era pronto ma passa l’esame a pieni voti, complice le pause calme ai quali ci avevano tanto abituati i canadesi. Sono musicisti straordinari e hanno nel sangue la performance live come nessun altro, e Reflektor forse li rispecchia più di qualsiasi altro album. Se siamo pronti ad accettare il cambiamento, un album del genere risulta straordinario, ma chi è ancorato ancora alla definizione statica musicale delle composizioni forse ne rimarrà deluso. Tutto si evolve, e anche le produzioni discografiche di grande peso subiscono ogni volta un’evoluzione differente in positivo. Gli addetti ai lavori lo hanno definito “perfetto mashup tra Studio 54 e il voodoo haitiano“, ma forse hanno mancato la nostalgica escursione rock alla quale ci hanno abituati gli Arcade Fire. La tormentata storia d’amore resa immortale da Ovidio trova spazio in un disco come questo sia nel racconto che nella rappresentazione grafica, ma viene traslata al presente alla perfezione.
Tutto fatto per bene, sbavature quasi inesistenti, avanguardia musicale al posto giusto e ricercatezza da far paura ai più sperimentali, è questo “Reflektor“, che per noi passa l’esame a pieni voti. Consapevolezza dei propri mezzi e di quelli messi a disposizione dei propri fan gli Arcade Fire ci lasciano di stucco ancora una volta. Ascoltatene tutti, è qui, su Youtube.
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