E’ il film più costoso della storia del cinema italiano e, secondo la dichiarazione dello stesso regista, anche il suo film più personale. “Baarìa” è la storia del paesino siciliano (Bagheria) raccontata attraverso tre generazioni, a partire dalla fine degli anni trenta fino ad arrivare agli anni ottanta.
Il film è un susseguirsi della drammaticità della vita reale nella commedia, il racconto della semplicità che sta nella gente di un piccolo paesino e nella povertà. Un risultato ottimo per quel che riguarda la ricostruzione delle sceneggiature in Tunisia, e anche per quanto riguarda la fotografia. Abbiamo scenari che riescono a raggiungere chiaramente il loro obiettivo.
Il film di Tornatore forse è stato presentato offrendo al pubblico eccessive aspettative, ma non si può certo dire che sia un film mal riuscito. Nonostante la durata di ben 150 minuti, non appesantisce, grazie al susseguirsi di scene comiche e leggere, alcune forse anche non essenziali, accompagnate dalle musiche di Ennio Morricone, mica uno qualunque.
La cosa di cui si è maggiormente parlato è stato il cast, un grande calderone di attori, per la maggior parte siciliani. Buon lavoro per quanto riguarda i protagonisti, Francesco Scianna e Margareth Madè, Enrico Lo Verso, ma anche per Angela Molina e Salvatore Ficarra. Quest’ultimo in una parte ben lontana dall’essere il solito scatch assieme al collega Valentino Picone, sicuramente verrà ricordato per la scena della farmacia, in cui va a chiedere che gli venga dato qualcosa che lo faccia morire.
Il film inoltre è costellato di citazioni e tematiche già presentate da Tornatore in lavori precedenti. Al primo posto non si può fare a meno di notare il cinema, con alcune scene che rimandano inevitabilmente a “Nuovo Cinema Paradiso” e al modo in cui questa novità era vissuta negli anni ’30. Abbiamo un Vincenzo Salemme intrattenitore, che canta guardando al ritratto del Duce “Un’ora sola ti vorrei”. I balli in cui i maschi ballano con i maschi e le donne con le donne e se succede quello che per noi oggi risulta ovvio e scontato, allora scoppia un pandemonio e si formano d’improvviso le coppie, come se non si fosse aspettato altro che quel ballo. Poi ovviamente c’è la mafia ed una scena abbastanza cruda, sicuramente da non considerarsi indispensabile. E poi c’è il comunismo. Il protagonista infatti è profondamente legato alla causa comunista, non mancano citazioni ad eventi e personaggi del tempo, le sequenze di molte immagini sono intrise dal sogno comunista che ha caratterizzato il dopoguerra. Tra le manifestazioni assistiamo ad una brevissima comparsa di Laura Chiatti, mentre la piazza del paesino vede la perenne presenza, anno dopo anno, di Beppe Fiorello. Ruolo minuscolo, ma così simpatico e caratteristico da rimanere bene impresso. Ancor più breve la comparsa di Aldo Baglio, in un ruolo tutt’altro che comico, ma ben gestito. Raoul Bova invece, fa parte di una di quelle scene che potrebbero esserci o non esserci, ma non cambierebbe nulla per la trama del film. Lo stesso si può dire di Monica Bellucci, che non pronuncia nemmeno una parola ma è oggetto degli sguardi di una classe di bambini e del loro insegnante mentre si “allingua” con un muratore nel palazzo di fronte. Nino Frassica, Toni Sperandeo, Michele Placido, Giorgio Faletti, Leo Gullotta insieme a molti altri, hanno ruoli fugaci. Sprecato, a mio parere, il talento di Luigi Lo Cascio, che si rivede più volte, un pò come Beppe Fiorello, ma non è per nulla rilevante.
Uno dei difetti di questo film è forse quello di aver inserito una moltitudine di attori e di avere lasciato alla maggior parte dei ruoli di poca, se non nulla, importanza. Ma dopotutto forse esprime ciò che accade realmente nella vita, alcune persone non rimangono che comparse, le vedi un momento e poi seguono percorsi che non toccano più il tuo. Un ottimo tocco per il finale, anche se non in ogni dettaglio, significativo e ricco dei sogni e delle metafore che si susseguono per tutto il film, raccolte in conclusione. Per il resto, la pellicola rimane una bella storia, uno splendido omaggio che il regista fa alla sua terra e che sicuramente non deluderà il pubblico. L’impronta di Tornatore si sente come non mai, ma l’importanza della pellicola è stata forse troppo discussa ed esaltata. Sicuramente abbiamo un ritratto in agrodolce di una Sicilia semplice, sognatrice, passata attraverso gli anni, la polvere e i sogni.