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Alice in Wonderland: la recensione

E’ arrivato, dopo la lunga attesa, il 3 marzo, l’ultima opera di Tim Burton, “Alice in Wonderland“. Quella di Alice nel Paese delle Meraviglie è una delle storie più note al mondo, per i celebri romanzi di Lewis Carroll, ma molto è dovuto al capolavoro d’animazione della Disney, divenuto ormai un cult. Tim Burton ha scelto un lavoro pesante, cercando di riportare alla luce una storia che forse sarebbe dovuta rimanere intoccabile, dopo la rivisitazione animata. Promettendo un lavoro che non avrebbe fatto rimpiangere il vecchio classico Disney e sostenendo che nessuno fino ad ora è riuscito a riportare bene le atmosfere di quella storia sul grande schermo, Tim Burton questa volta forse ha fatto il passo più lungo della gamba.

Alice in Wonderland – Character poster

Efficace è stata senz’altro la mossa di marketing, il film è stato pubblicizzato in tutte le salse, con eventi e gadget, materiale inedito ogni mercoledì man mano che l’uscita del film si avvicinava, suscitando la curiosità degli spettatori, soprattutto negli affezionati burtoniani, pronti a ritrovarsi in una nuova geniale pellicola. Riadattato da Linda Wolvertoon, che di certo non è nuova del mestiere, questo “Alice in Wonderland” ritrova Alice Kinglsey all’età di diciannove anni. La ragazza ha ormai dimenticato il suo primo viaggio nel Paese delle Meraviglie, ma si ritrova nuovamente ad inseguire un coniglio dopo aver scoperto che la festa a cui si è recata in realtà è la sua festa di fidanzamento. Alice inizia a credere di essere pazza a causa di un sogno ricorrente che le fa venire in mente, tra l’altro, il suo defunto padre, colui che sosteneva che i matti dopotutto sono anche i migliori e che le ha insegnato a credere all’impossibile. L’inseguimento del Bianconiglio (Michael Sheen), la caduta nella tana, il mondo sottosopra, la pozione con su scritto “drink me”, la chiave per aprire la porticina, il suo corpo che cresce e si rimpicciolisce, sono tutti elementi della storia che ben conosciamo, ma una volta aperta la porticina ci ritroviamo davanti ad una storia tutta diversa. Tim Burton mantiene sì gran parte dei personaggi che conoscevamo, come il Dodo (Paul Whitehouse), Pinco Panco e Panco Pinco (Matt Lucas)e il piccolo ghiro, molto meno pigro di quello a cui eravamo abituati, ed interpretato, o meglio, doppiato, da Barbara Winsdor. Da qui impareremo a conoscere il temibile (ma non troppo) Grafobrancio, il crudele fante di cuori (Crispin Glover), la Regina Rossa. Il Brucaliffo, il suo narghilè ed il suo oraculum si vedranno per pochi secondi in tutto il film, e sembra non essere indispensabile nemmeno la presenza del segugio Bayard (Timothy Spall), e la sua relativa storia.

Alice in Wonderland

Le scene sono piuttosto lineari, il loro seguito scontato e a tratti “di troppo”. Il Cappellaio Matto interpretato da Johnny Depp, sembra troppo mansueto per essere un matto ed ogni tanto si perde nei flashback della guerra che ha distrutto il Sottomondo. Come già specificato da Linda Wolvertoon, la vicenda non segue i romanzi di Carroll, ma è ispirata al poemetto nonsense “The Jabberwocky”, che possiamo sentire recitare al Cappellaio mentre cerca di mettere in salvo Alice. Dal suo arrivo nel sottomondo, Alice inizia a capire sempre meno cosa sta succedendo e si convince che tutto sia un sogno. Solo alla fine, convinta dalla Regina Bianca (Anne Hathaway) e dall’affetto che prova per i suoi nuovi amici, si rende conto di essere l’unica in grado di uccidere il terribile Ciciarampa, e di essere davvero lei la paladina di cui parla l’Oraculum. Provvista di spada ed armatura, Alice fa fuori il mostro e da quel momento nessuno obbedisce più ai continui ordini di decapitazione della Regina Rossa, interpretata da Helena Bonham Carter. Quest’ultima avrebbe dovuto avere un ruolo di maggiore spessore nel film, ma non viene sottolineato abbastanza, così come non viene marcato il ruolo della Regina Bianca, sorella e rivale, la parte buona. Nulla da dire sulle varie interpretazioni, salvo quella di Mia Wasikowska, troppo poco espressiva. Non c’è l’entusiasmo della vecchia Alice, e questo è dovuto al fatto che sia cresciuta e all’avanzare di un certo disincanto, insieme all’età, ma non mostra segni di stupore, alcuna emozione, in positivo o negativo, non rende l’idea di quel che dovrebbe essere in realtà il suo personaggio. Sentir dire che la sua interpretazione è stata perfetta per il film è un’affermazione ben lungi dall’essere veritiera. Un buon lavoro è stato fatto con lo Stregatto (doppiato da Stephen Fry), soprattutto perchè era uno dei personaggi più difficili da re-interpretare, ma sembra essere riuscito abbastanza bene, al contrario del Cappellaio, nonostante l’interpretazione del buon vecchio Johnny Depp rimanga sempre valida. E’ stata data poca vitalità a personaggi che in realtà dovrebbero essere bizzarri e suscitare simpatia, sembrano essere tutti un pò più morti. Ben riuscita è la Lepre Marzolina invece, sicuramente tra tutti la più matta. Forse Tim Burton, nel tentativo di rendere l’idea della desolazione del Sottomondo, ha abbassato troppo i toni dei caratteri dei suoi personaggi ed è un vero peccato, poichè il loro essere così “matti” si adattava perfettamente al classico stile del regista.

Locandina italiana di "Alice in Wonderland"
Locandina italiana di “Alice in Wonderland”

Il problema del film è stata la gestione dei personaggi e delle loro storie, aggiungendo la difficoltà, come già detto, di rivisitare una lavoro difficile, che comporta un inevitabile paragone con il precedente. Per quanto riguarda l’uso del 3D, è ben riuscito nelle parti in cui serve. Non si può paragonare ad “Avatar“, cosa che succede puntualmente. Il 3D di “Alice in Wonderland” è stato usato in post-produzione, non è indispensabile in gran parte delle scene, ma si vede e c’è là dove serve. Per chi si aspettava un film rigorosamente in 3D ci sarà questa piccola delusione, ma bisogna anche capire che solo in alcune scene, effettivamente, il 3D può risultare utile, altrimenti il film rimane in piedi ugualmente. Per i costumi, soprattutto quelli di Alice, il lavoro è ben riuscito. I colori e lo stile sono tipicamente burtoniani, ma sempre con quel qualcosa in meno che ci saremmo aspettati, invece, di trovare. Impeccabile la colonna sonora, firmata dal maestro Danny Elfman, altro elemento indispensabile per la buona riuscita di un lavoro di Tim Burton. Non è uno dei migliori film che abbia fatto, manca quel tocco di genialità che il regista è solito conferire alle cose. Forse perchè la storia non è nata direttamente dalla sua testa, forse perchè l’impresa era troppo ardua anche per lui.

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IL NOSTRO PARERE IN BREVE

Un classicio rivisitato non al meglio - Un lavoro mal gestito, con un 3D a tratti intuile a tratti opportuno, costumi ben fatti, colonna sonora impeccabile.

PANORAMICA RECENSIONE

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