Dallo scorso 12 novembre è arrivato in sala il remake a stelle e strisce di “Stanno tutti bene” di Giuseppe Tornatore, diretto da Kirk Jones. La versione datata 1990 aveva come protagonista un Marcello Mastroianni a mo’ di caricatura, baffoni bianchi e occhialoni spessi, che girava l’Italia per andare a trovare i suoi figli prima che giungesse la sua ora. Nel caso del remake al posto dell’Italia abbiamo una dispersiva America, che confonde il protagonista con i fusi orari, e al posto di Mastroianni troviamo Robert De Niro.
Il paragone con la pellicola originale, oltre ad essere spontaneo, è anche doveroso. Qualche cambiamento nei dettagli della trama c’è, ma il sapore conferito da Giuseppe Tornatore al film non è in grado di ritornare allo stesso modo nella pellicola di Kirk Jones. Ma in questo caso evitiamo di perderci troppo con le differenze tra l’una e l’altra, piuttosto parliamo solamente di questo film, anche perché, con tutto il rispetto per la figura di Robert De Niro, Marcello Mastroianni rimane intoccabile. Commedia drammatica che in realtà di commedia non ha proprio nulla, “Stanno tutti bene” è un film incentrato sulla famiglia e l’importanza dei legàmi. Frank Goode è vedovo da poco tempo ed ha anche qualche problemino al cuore, è rimasto solo in casa e sente la mancanza dei suoi quattro figli, sparsi per il Paese ed intenti a vivere e loro vite di successo. O almeno questo è quanto crede Frank. In realtà lui conosce la versione dei fatti alleggerita dalla moglie, ma scoprirà la verità quando deciderà di mettersi in viaggio per fare visita ai suoi “bambini”, che hanno trovato tutti delle scuse per non andare a pranzare insieme da lui. Nonostante i problemi di cuore, Frank non ascolta i consigli del dottore, sale su treni ed autobus per raggiungere David, che si trova a New York, ma in casa non trova nessuno e a nulla vale l’attesa, il figlio non si fa vedere. Insospettito dalla strana assenza, Frank decide comunque di partire e fare la seconda sorpresa ad Amy, che vive a Chicago, ma anche lì la situazione non è rosea. Amy nasconde al padre il suo divorzio e l’esistenza di un nuovo compagno, ed inoltre si mette d’accordo con gli altri fratelli per non dire che David ha avuto qualche problema con la giustizia in Messico. Altra tappa da Robert, che Frank credeva essere un direttore d’orchestra, e che in realtà si limita a suonare solamente il tamburo. Il viaggio prosegue fino a Las Vegas, per salutare Rosie, che nasconderà invece al padre di essere omosessuale e di avere un bambino.
Frank durante il viaggio inizia a prendere coscienza di quanto realmente accade ai figli, senza dimenticare l’importanza della presenza-assenza della moglie e di una vita trascorsa a lavorare per il buon successo per le vite dei quattro bambini, quelli che Frank vede come se non fossero mai cresciuti. L’uomo, una volta giunto al termine del viaggio, decide di far ritorno a casa in aereo, ma la sua malattia lo farà finire in ospedale, dove finalmente potrà rivedere la famiglia riunita. La pecca del film, oltre all’incapacità di avvicinarsi alla sua versione originale e quindi l’idea di un remake azzardatissima, è il dramma che si consuma in maniera forse troppo lenta o troppo stanca, nel senso che ogni cosa sembra voler trasmettere tristezza e disagio: dalla solitudine di Frank nella sua casa in ordine e il giardino verde e curatissimo, alle case bianche e lineari, modernissime e tremendamente vuote dei figli, un ambiente quasi ostile tutto intorno. La solitudine di Frank è tangibile, ma la realtà è che tutti i personaggi di questo dramma corale a loro modo sono soli e vogliono nascondere la realtà ad un padre che ha sempre avuto grandi sogni per loro.
Nessuna famiglia è perfetta, in conclusione. Ma la bellezza di una famiglia sta nel fatto di potersi appoggiare l’uno all’altro e riuscire ad essere reciprocamente fieri di quel che si è, nonostante successi e fallimenti, cadute e risalite, sapere di poter contare su qualcuno che non ci lascerà mai. Un messaggio sentimentale mal gestito, una pellicola che nonostante il cast notevole, che oltre a Robert De Niro vanta la presenza di Sam Rockwell, Kate Beckinsale e Drew Barrymore, non riesce a tenere alti i toni, la figura del personaggio principale, al contrario di quanto accade nella versione di Tornatore, è sfocata, ci sono troppi elementi da descrivere, l’attenzione del regista ricade su ogni singola storia, facendo così perdere di vista il reale punto di tutta la vicenda: il personaggio di Frank, la sua vita giunta quasi al termine e la necessità di sapere di poter andare via con la certezza che “stanno tutti bene“, il desiderio di poter trascorrere un Natale con i figli, per poter ricordare almeno un’ultima volta che ogni sacrificio non è stato vano. E sappiamo bene che non lo è, a ripagarlo c’è l’immenso amore di quattro bambini cresciuti, ma che restano pur sempre dei figli con i loro problemi e le loro paure da affrontare, che una volta soli al mondo forse non vogliono creare dispiacere, ma la verità è difficile da nascondere. Tra qualche flashback e qualche visione, Robert De Niro e co. se la cavano, non egregiamente, ma nemmeno malamente. Come si suol dire, si può fare sempre meglio. Per colonna sonora, fotografia, cast e buoni propositi, concediamo un 7.