Paranormale, fantascientifico, esoterico, horror? Non si sa come definire effettivamente questo film. “Shelter – Identità paranormali” ha un titolo che potrebbe fungere anche da definizione, ma in realtà non è così. Il lavoro della coppia di registi Måns Mårlind e Björn Stein appare alquanto confuso e sfugge ad ogni genere, di certo non volutamente.
Cara (Julianne Moore) è una psichiatra forense che non ha ancora superato il trauma della morte del marito. Suo padre, psichiatra anche lui, la invita a conoscere un paziente, Adam (Jonathan Rhys Meyers) affetto da personalità multipla. Inizialmente scettica, Cara inizia ad appassionarsi al caso quando comincia a capir che sotto la doppia personalità di Adam c’è ben altro: le personalità di Adam sono molteplici ed appartengono tutte a vittime di brutali assassinii. La trama a primo impatto sembra essere originale, quantomeno al di sopra della media, il problema è la gestione della pellicola in sé. Non basta una grande attrice come Julianne Moore per risollevare le sorti di “Shelter“, film che può essere diviso in due parti: la prima, lenta e noiosa, ci offre tutte le informazioni necessarie (anche troppe) per conoscere i personaggi, mentre la seconda dimostra che i registi, nel tentativo di dar vita a qualcosa di originale, hanno creato solamente tanta confusione. Infatti nel calderone ci hanno buttato dentro la questione religiosa e l’importanza dell’educazione che viene impartita da piccoli. La fede è apparentemente il punto fondamentale da cui far partire le ricerche, i personaggi parlano di fede, del diavolo, di anime perse o da salvare, ma evidentemente questo non è bastato allo sceneggiatore Michael Cooney, che ci ha messo dentro anche ferite contagiose e la capacità di avere al contempo le vertebre rotte ed intere, poiché Adam è sia paralizzato che perfettamente sano. Ed in aggiunta, è posseduto, ma in questo caso non c’è nessun esorcista in grado di salvarlo, anche perché a possederlo non è il diavolo. Oppure no? Insomma, si capisce ben poco. Il finale potrebbe essere considerato aperto ma anche no, fattosta che per tutta la prima parte del film assistiamo alle visite della protagonista al paziente, mentre piano piano scopre le sue varie personalità. Dialoghi morti e privi di spessore, atmosfere fredde e cupe nell’inquietante Pittsburgh, escamotages ormai stra-noti ed abusati, che portano via qualche punto di originalità a tutta la storia. Nulla da dire sull’interpretazione degli attori, che non è ottima ma è pur sempre valida. Il problema di fondo è proprio la storia, che non segue una direzione stabile, è quasi come se tra registi e sceneggiatori, nessuno sapesse realmente cosa fare ed allora hanno buttato giù una storia che, anche se traballante, potesse tenersi in piedi, con il risultato di un film sprecato e girato male, forse non pessimo, ma nemmeno imperdibile.