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“Le avventure di Tin Tin: il segreto dell’Unicorno”: recensione in anteprima

Un grande evento al Festival del Cinema di Roma e noi di Cinezapping eravamo presenti: in anteprima abbiamo visto per voi il film “Le avventure di Tin Tin: il segreto dell’Unicorno”, trasposizione in 3D dei romanzi grafici scritti e disegnati da Georges Remi (Hergé). La pellicola, prodotta dal premio Oscar Peter Jackson e diretta dal premio Oscar Steven Spielberg, è il primo adattamento cinematografico – fedele – della storia del celebre e intrepido reporter belga.

Le avventure di Tin Tin: il segreto dell'Unicorno
Basato su Le avventure di Tin Tin: il segreto dell’Unicorno, il film racconta della avventurosa storia di Tin Tin che, insieme al suo inseparabile Milou, acquista in un mercatino (e i fan non potranno fare a meno di notare la presenza del compianto Hergé) il modellino di una nave. All’apparenza un oggetto da collezione (Tin Tin se lo aggiudica “tirando” sul prezzo), in realtà nasconde un misterioso segreto, di cui sembra essere a conoscenza il villain di turno, quel malefico Ivan Ivanovitch Sakharine da sempre alla ricerca del tesoro legato al pirata Red Rackham. Il coraggioso reporter belga, alla costante ricerca di “storie”, non perde tempo e comincia ad indagare sul mistero che avvolge quel modellino (anche se dovrebbe fare più attenzione alle “mosse” del simpatico Milou), ritrovandosi catapultato in una avvincente storia senza limiti e confini. Un solo, ma temibile, nemico e tanti amici per il nostro Tin Tin, a cominciare dal capitano Haddock (all’apparenza un ubriacone tra Braccio di Ferro e Jack Sparrow), per finire con i due agenti Dupond e Dupont, imbranati poco arguti ma all’occorrenza terribilmente efficaci. L’obiettivo è per tutti lo stesso: la ricerca dell’Unicorno, una nave, contenente una immensa fortuna, sprofondata negli abissi.
Le avventure di Tin Tin: il segreto dell'Unicorno
Due anni tra ricerche, sviluppo, preproduzione, sceneggiatura e casting: basterebbe questo dato per rendersi conto delle aspettative e dell’impegno che c’è dietro a questa storia. Una mole di lavoro davvero notevole, senza contare la fase successiva: l’arrivo negli studi di Performance Capture di Playa Vista in cui il cast ha potuto “regalare” i propri movimenti che, grazie all’utilizzo dei sensori riflettenti, sono stati poi tradotti in immagini tridimensionali. Un processo difficile, complicato, per gli attori: Jamie Bell (Tin Tin), Andy Serkis (Capitano Haddock), Daniel Craig (Sakharine), Nick Frost e Simon Pegg (Dupont e Dupond). Davvero un grande evento per tutti i fan delle storie di Hergé, Tin Tin è un fenomeno popolare, tradotto in ottanta lingue con oltre trecentocinquanta milioni di copie vendute. Tra gli appassionati del fumetto ci sono, ovviamente, Steven Spielberg e Peter Jackson (quest’ultimo sarà alla regia nel sequel). La collaborazione tra due tra i cineasti più visionari ed innovativi della nostra epoca è stata la migliore garanzia per trasportare sul grande schermo le avventure di Tin Tin, rimanendo però costantemente fedeli alla traccia originale. Un omaggio ma anche una necessità: quella di non tradire i fan e le idee dello scomparso artista belga. Possiamo dire che la missione è riuscita. Il responsabile del designer del film si è recato a Bruxelles per “memorizzare” i luoghi frequentati dal reporter belga senza età ed è tornato a casa con le idee chiarissime riuscendo a trasportare sullo schermo le magiche atmosfere della residenza di campagna del capitano Haddock (Marlinspike Hall) e della residenza di Tin Tin (Labrador road 26). Un ulteriore sforzo è stato fatto per la ricostruzione della Ford 1937 (quella dei fumetti), scannerizzata al computer e poi passata in  digitale. Un pregio del film è l’aver evitato la strada della “modernizzazione”, tipica delle produzioni hollywoodiane degli ultimi anni. Il rischio di vedere un Tin Tin “tecnologico” era alto ma Spielberg e Jackson non sono caduti nel tranello. Tin Tin non ha età, non ha cellulari o apparecchiature all’avanguardia, non sfrutta iper-avanzati computer di ultima generazione per le sue indagini, ma solo la propria astuzia, la furbizia e tanta curiosità. Nell’epoca di CSI è davvero gradevole poter assistere a un’ avventura “vintage”. L’importante è chiudere gli occhi e immergersi in quella che è una favola senza confini. Dalle prime inquadrature cupe di casa Tin Tin, che tanto ricordano il genere poliziesco (con tanto di sparatoria), veniamo catapultati nel bel mezzo dei flashback di Haddock, un adorabile ubriacone ma leale amico. Così scopriamo il mistero dell’Unicorno, viviamo gli ultimi attimi della nave per poi ritrovarci nel caldo e desolato deserto del Sahara e infine nella citta – immaginaria – di Bagghar, creata seguendo gli stili architettonici del Nord Africa. Ma la trama rende omaggio anche ad Agatha Christie e lo spettatore più smaliziato e attento può cercare qualche indizio già all’inizio della pellicola poiché alla fine il tutto si ricongiunge come in un puzzle. Per rendere “reali” i personaggi si è lavorato a lungo sul processo di performance capture, realizzatosi in quello che si chiama volume, un teatro bianco e grigio dove  cento telecamere fissate sul soffitto garantiscono una copertura di 360 gradi al fine di rendere lo spazio tridimensionale. In questo volume gli attori hanno attaccato al corpo dei sensori riflettenti che vengono catturati dalle macchine da presa in meno di 1/60 di secondo e poi interpretate in immagini in 3D. In seguito altre otto videocamere HD riprendono le performance naturali del cast e lo passano agli animatori. Il complesso processo permette che ogni smorfia, ogni singola emozione possa essere “catturata”, appunto, e tradotta in digitale. Il risultato è forse anche superiore alle attese visto quanto queste semplici “animazioni” riescono a trasmettere alla storia una sensibile illusione di realtà. Ogni smorfia e ogni particolare dei personaggi è stato studiato nei minimi particolari e riprovato più volte fino ad ottenere un risultato finale fedele e soddisfacente. Il nostro giudizio sulla pellicola non può che essere positivo. Immergendosi nel film si ha davvero la sensazione di varcare i cancelli di un’altra epoca e di viaggiare con la fantasia. Si ritorna bambini con le nostre curiosità, le passioni, la voglia di conoscere nuovi mondi che tanto nella nostra epoca si sta smarrendo.  O forse, cambiano solo i bisogni e i mezzi: ora costretti dall’abuso della tecnologia parliamo un linguaggio nuovo e a malapena ricordiamo di quando e quanto un libro d’avventura poteva farci emozionare. Parlo di quei tempi, e neanche troppo lontani, in cui non si avvertiva il bisogno di avatar e joystick, ma si correva a casa per vivere avventure ai limiti insieme ai personaggi dei nostri libri preferiti. Quando ancora una “caccia al tesoro” ci faceva emozionare. Si all’innovazione ma senza abbandonare la tradizione, forse anche questo è il messaggio, nascosto, della pellicola. Avremo ancora modo di pensarci visto poiché “Le avventure di Tin Tin: il segreto dell’Unicorno” è solo il primo episodio di una trilogia cinematografica che vedrà nel secondo episodio alla regia Peter Jackson. Intanto correte al cinema, il nostro piccolo reporter sbarca nelle sale cinematografiche italiane proprio oggi. [starreview tpl=16]

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