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The Help: la recensione

Jackson, Mississippi, primi anni Sessanta.

La giovane e rampante Eugenia Phelan, detta Skeeter (Emma Stone) sogna di diventare giornalista o scrittrice o, se possibile, entrambe le cose; la disillusa ma fiera Aibileen (Viola Davis) vorrebbe essere semplicemente qualcosa di diverso dal suo ruolo di collaboratrice domestica; la combattiva Minnie (Octavia Spencer) mostra tutta la propria grinta e perseveranza nel non volere accettare i soprusi e le malignità della sua padrona, Hilly Holbrook (Bryce Dallas Howard), membro attivo della comunità che dietro la propria maschera da donna carismatica e attiva nasconde una turpe e deplorevole meschinità.

Skeeter, Aibileen e Minnie finiscono, loro malgrado, per stringere una strana amicizia intorno ad un progetto letterario segreto che abbatte le regole sociali, mettendo tutte loro a rischio. Dalla loro improbabile alleanza emerge un senso fraterno molto forte, che instilla in tutte loro il giusto coraggio per andare oltre quei confini che definiscono le loro personalità e la consapevolezza che a volte questi confini sono fatte per essere oltrepassate, anche se questo significa mettere tutti gli abitanti del paese davanti all’evidenza che i tempi cambiano.

The Help - Emma Stone, Viola Davis e Octavia Spencer

Tratto dall’omonimo romanzo di Kathryn Sockett e forte dello straordinario successo ottenuto oltreoceano la scorsa estate (guadagnati circa 154 milioni di dollari nelle prime 5 settimane di programmazione, a fronte di un budget di realizzazione non superiore ai 25), “The Help” si prepara, a sorpresa, a vivere da protagonista l’imminente stagione dei premi cinematografici.

Cinque nomination ai Golden Globes (ma un solo premio conquistato da Octavia Spencer come miglior attrice non protagonista), altrettante candidature ai prossimi Bafta e una serie di nomination importanti agli Oscar 2012 già messi in tasca (due nomination per le non protagoniste, una per la Davis e probabilmente la candidatura anche per la miglior sceneggiatura non originale e il miglior film dell’anno).

Il film di Tate Taylor è il racconto di un’evasione possibile: evasione da un mondo patinato e superficiale, profondamente intollerante rispetto al diverso. Sia esso rappresentato da due domestiche di colore, una ragazza istruita di 23 anni che vuole diventare scrittrice o una svampita bionda goffa e sincera (Jessica Chastain) per questo invisa alle benpensanti donne del quartiere la cui massima aspirazione è avere un marito e dei figli da esibire.

Un dramma sociale e una storia di emancipazione sociale e razziale che ci mostra un’America refrattaria allo spirito kennediano dei primi anni sessanta, dove invece permangono leggi obsolete e odiose nel loro essere fieramente discriminatorie.

Certo il regista e sceneggiatore non gioca di fioretto e fornisce un campionario di personaggi talmente ben codificati e riconoscibili tali da rendere evidente fin dal primo momento l’aspetto di denuncia e condanna verso il bigottismo del Sud degli Stati Uniti, pur lasciando solo sullo sfondo l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, o le lotte civili di Martin Luther King o l’uccisione di Medgar Evans, il nero che lottava contro la segregazione all’università del Mississippi.

The Help - Viola Davis

“The Help” è quindi un film partigiano e fiero di esserlo, che sposa un nobile e condivisibile ideale, ma non si sforza più di tanto per uscire da delle semplificazioni narrative e caratteriali che stonano di fronte alla passionalità e alla buona fede dell’operazione.

Fin da quando compaiono in scena non si può che provare affetto per la dolce Skeeter o la saggia Aibileen o la tenera burbera Minnie, così come dopo qualche fotogramma già si sopportano a fatica Hilly e la sua compagnia di acide snob retrograde.

Il film procede quindi con il pilota automatico, regalando solo un paio di sussulti che ne fanno un prodotto qualitativamente ammirevole, ricco di interpretazioni da applausi e in cui risate e lacrime si mischiano alla perfezione, forse troppo. È proprio questo il problema principale di “The Help”: la sua aurea di operazione studiata a tavolino, tanto ben confezionata quanto poco realmente nuova e interessante.

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