Mikael Blomkvist (Daniel Craig), giornalista finanziario intenzionato a ristabilire la propria reputazione dopo essere stato condannato per diffamazione, viene assunto da uno degli industriali più potenti della Svezia, Henrik Vanger (il candidato all’Oscar Christopher Plummer), per scoprire la verità sulla scomparsa dell’amata nipote Harriet, avvenuta molti anni prima. Convinto che la ragazza sia stata uccisa da un membro della sua numerosa famiglia, Vanger spedisce il giornalista, ignaro di quanto sta per accadergli, a Hedestad, un’isola sperduta tra i ghiacci della costa svedese.
Frattanto, Lisbeth Salander (la candidata all’Oscar Rooney Mara), una hacker stravagante ma piena di risorse della Milton Security, viene assunta per fare delle ricerche su Blomkvist, e si ritrova per caso a indagare con Mikael sulla scomparsa di Harriet Vanger.
Lisbeth, giovane donna schiva che rifugge il mondo esterno perché è stata più volte ferita, è un’abile hacker che arriva diretta al punto, qualità che si rivelano indispensabili per la ricerca. Mentre Mikael affronta direttamente i Vanger che appaiono omertosi, Lisbeth si dà da fare dietro le quinte. I due iniziano così a scoprire una serie di omicidi del passato e del presente.
“Millennium – Uomini che Odiano le Donne” non è un remake del film svedese del 2009 di Niels Arden Oplev con Michael Nyquist e Noomi Rapace, ma una nuova versione del romanzo di Stieg Larrson, cui David Fincher ha impreso il suo marchio autoriale.
Nelle mani di Fincher il primo capitolo della trilogia Millennium diventa un’opera complessa e sfaccettata, tutta giocata sui dettagli, sul non detto e su una emotività latente, centellinata. Insomma qualcosa di più profondo ed interessante di un semplice prodotto di genere e d’intrattenimento.
Non che questa componente manchi. Il Millennium di Fincher è sicuramente molto più cinematografico del corrispettivo svedese (troppo televisivamente piatto), grazie soprattutto ad un montaggio sofisticato e sempre sorprendente, una fotografia dalle tonalità cupe ben amalgamate con il candore del gelo svedese, una colonna sonora del duo Trent Reznor-Atticus Ross travolgente e ancora una volta (come nel caso di “The Social Network”) colonna portante anche a livello drammaturgico e non semplice ornamento sonoro.
Ma le ragioni che rendono “Millennium – Uomini che Odiano le Donne” un film potente e assai riuscito stanno altrove. Fincher e lo sceneggiatore Steven Zaillan hanno il grande merito di restare molto fedeli al materiale di partenza di Stieg Larrson: non semplicemente all’intreccio, ma anche allo spirito dell’opera dello scrittore svedese prematuramente scomparso nell’autunno del 2004.
Fincher partendo da una storia classicamente inquadrabile in un genere cinematografico di riferimento (in questo caso il noir), opera una decostruzione interna volgendo il suo sguardo con attenzione particolare ad altro rispetto alla trama. Fincher è infatti interessato relativamente alla ricerca della verità, il mistero e la sua soluzione; ciò che conta per il regista di Denver sono le persone coinvolte nella caccia, le loro fragilità, le loro contraddizioni affettive, la loro umanità.
Proseguendo un lavoro iniziato con “Seven”, proseguito con “Zodiac” e per certi versi anche con “The Social Network” (noir contemporaneo dove pixel e cause legali hanno sostituito le sparatorie o la femme fatale di turno), Finche riduce l’entertainment (comunque presente, ma mai prevaricante), focalizzandosi su altro: le relazioni interpersonali e l’interiorità dei due protagonisti coinvolti nell’investigazione contano molto di più dello scioglimento.
Mikael e Lisbeth sono due personaggi contrari eppure complementari: riflessivo e bonario lui, istintiva e livida lei. Due outsider, due personaggi fuori dagli schemi a modo loro e per questo destinati alla solitudine che si incontrano quasi per caso e si ritrovano legati da un’alchimia, a sua volta, piuttosto anticonvenzionale. Soprattutto Lisbeth si sente scossa da quest’incontro e non tanto per l’attrazione sessuale provata nei confronti di Blomkvist, quanto per un’istintiva fiducia nei confronti degli altri provata assai raramente in precedente.
È proprio Lisbeth Salander il vero fulcro narrativo del film, grazie ad una sapiente scelta di sceneggiatura che ne fa a tutti gli effetti la protagonista della vicenda (lasciando in secondo piano Mikael che invece è il vero protagonista sia del libro di Larrson che del film svedese), moderna Pippi Calzelunghe (definizione dello stesso Larsson) che ha sostituito il cavallo con la moto, armata di computer e se la prende con i cattivi.
Lisbeth Salander è una delle figure più complesse e affascinanti dell’immaginario collettivo contemporaneo, contraddittoria, rude e apparentemente anaffettiva, la cui emotività troppo a lungo calpestata e stata sepolta a fondo nel proprio animo e a fatica riaffiora di tanto in tanto. È qui la grande intuizione di Fincher e Zaillan ovvero di rendere Lisbeth un personaggio profondamente umano, minuto e aggressivo, feroce e spaventato, ricercatrice impeccabile e hacker geniale, in grado di tenere sotto controllo tutto tranne quei sentimenti (per lei inconsueti e quindi spiazzanti nella loro intensità) alteri rispetto alla sfera della rabbia e della diffidenza verso il prossimo.
Un personaggio straordinario, dolente e magnetico che Rooney Mara (giustamente candidata all’Oscar) incarna alla perfezione, figura arrabbiata e dalla dolcezza soffusa, guerriera fragile segnata da tanti soprusi eppure tenace e determinata. A real hero. A real human being.
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