Pietro (Elio Germano) ha 28 anni, arriva a Roma dalla Sicilia con un unico grande sogno: fare l’attore. Intanto tra un provino e l’altro sbarca il lunario sfornando cornetti tutte le notti.
È un ragazzo timido, solitario e l’unica confusionaria compagnia è quella della cugina Maria (Paola Minaccioni), praticante in uno studio legale dalla vita sentimentale troppo piena. Dividono provvisoriamente lo stesso appartamento legati da un rapporto di amore e odio in una quotidianità che fa scintille.
Ma arriva il giorno in cui Pietro trova, finalmente, una casa tutta per sé, un appartamento d’epoca, dotato di un fascino molto particolare e Pietro non vede l’ora di cominciare la sua nuova esistenza da uomo libero.
La felicità dura solo pochi giorni: presto cominciano ad apparire particolari inquietanti. È chiaro che qualcun altro vive insieme a lui. Ma chi? L’appartamento è occupato, ospiti non previsti disturbano la sua tanto desiderata privacy. Sono misteriosi, eccentrici, elegantissimi, perfettamente truccati.
Si scatenano mille ipotesi e mille tentativi di sbarazzarsi di queste ingombranti presenze, finché poco a poco lo spavento iniziale lascia il posto alla curiosità, alla seduzione reciproca, ad emozioni comuni che creano un legame profondo tra i coinquilini forzati. Si tratta dei componenti della compagnia teatrale Apollonio (interpretati da Margherita Buy, Vittoria Puccini, Giuseppe Fiorello, Cem Yilmaz, Andrea Bosca e Claudia Potenza), misteriosamente scomparsa nel 1943.
Con loro Pietro condivide desideri e segreti, crede in loro e loro credono in lui come nessun altro fuori da quella casa…
Proseguendo la strada intrapresa con “Mine Vaganti”, Ferzan Ozpetek sembra essere sempre più interessato al racconto delle miserie e delle solitudine umane in chiave comico-grottesco. Il regista italo-turcho infatti dà a “Magnifica Presenza” l’impostazione di commedia, giocando con alcuni topoi del suo cinema reinterpretati in chiave ironica e autoironica: quindi il personaggio protagonista è omosessuale, ma è un gay poco convinto e che vive con conflittualità il proprio status affettivo incastonato tra una cugina che prova a farlo “ravvedere” e una storia d’amore più difficoltosa di quanto non potrebbe sembrare in prima istanza. E anche l’alienazione di Pietro è la condizione di un giovane uomo che si muove smarrito in un mondo ancora più strano di lui che trova solo in compagnia dei fantasmi riesce a trovarsi in sintonia, accettato e compreso, seppure in parte, viste gli inevitabili problemi relazioni con entità fantasmatiche morte quasi sessant’anni prima.
Dove “Magnifica Presenza” però fallisce clamorosamente è nel voler caricare in maniera eccessiva questa commedia dal tono leggero di significati decisamente importanti e rischiosi se non trattati con la giusta attenzione e dovizia. Cosa che puntualmente accade.
Vengono quindi snocciolate tematiche come il rapporto tra realtà e finzione, la forza evocativa dell’arte, la scoperta di verità nascoste, fino a tirare in ballo perfino l’olocausto e lo sbigottimento di fronte ad un Papa tedesco. Il tutto è trattato con una superficialità e un’insipienza di scrittura quanto meno discutibile.
“Magnifica Presenza” è un prodotto ambizioso, ma la portata della sua ambizione viene ridimensionata da diverse soluzioni narrative che precludono qualsiasi tentativo di elevare il racconto dalla dimensione macchiettistica in cui sprofonda man mano che la vicenda volge verso il suo scioglimento finale.
Non aiuta di certo un cast fondamentalmente divertito, ma incapace di regalare qualsiasi tipo di empatia con personaggi piatti e poco interessanti, molti dei quali sono sostanzialmente inutili in quanto doppioni di altri pressoché identici.
I fan di Ozpetek applaudiranno a scena aperta questa “Magnifica Presenza”; gli altri saranno ammorbati dalla noiosa faciloneria di un film che vorrebbe essere profondo, ma è solo presuntuoso e autocompiaciuto.
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