Esordio col botto per “The Hunger Games”, pellicola diretta da Gary Ross e interpretata da Jennifer Lawrence, Liam Hemsworth, Elisabeth Banks, Josh Hutcherson, Woody Harrelson, Stanley Tucci, Donald Sutherland e Lenny Kravitz. Il film è l’adattamento cinematografico del romanzo omonimo (primo libro della trilogia degli Hunger Games) realizzato da Suzanne Collins.
The Hunger Games dal romanzo al film
“The Hunger Games” è ambientato in un futuro dispotico – non meglio precisato – dove il Nord America è stato sostituito dallo Stato di Panem, formato da una capitale e dodici distretti periferici. Ogni anno il regime totalitario costringe due adolescenti a sfidarsi in un sanguinario reality show da cui si esce vittoriosi solo uccidendo l’avversario.
Le logiche dei media impongono alcune chiare regole. Una di queste, inoppugnabile, conferisce all’immagine un valore maggiore rispetto al linguaggio scritto. Una foto sviluppa reazioni più immediate nello spettatore, figuriamoci un film – di 120 minuti come “The Hunger Games” – che fa della violenza il suo leitmotiv. Proprio per questo la Collins non è stata bombardata da campagne indette da genitori inferociti a causa dell’alto contenuto violento della pellicola. Oltretutto, nel film i protagonisti sono adolescenti e questo non ha fatto altro che incrementare le polemiche. Ci domandiamo: Quanto, la violenza mostrata in un’opera, può influenzare i comportamenti umani? Un adolescente può realmente comprendere la differenza tra bene e male e tra fiction e realtà? Un film, seppur esageratamente violento, può scatenare uno spirito comune di emulazione? La questione è spinosa e vecchia quasi quanto l’invenzione del cinema, eppure ogni qualvolta ci troviamo di fronte a pellicole “alternative” ai buoni sentimenti e relativi happy end, si innesca una altrettanto pericolosa spirale, dove una schiera di psicologi – e non solo – offrono il loro contributo – autorevole – ma non necessariamente incontestabile.
Gli Effetti dei film violenti sul pubblico
Molto spesso la violenza dei film è legittimata dal dover raccontare attraverso la settima arte fatti accaduti realmente, mentre a volta l’ispirazione per agire in modo deviato può arrivare proprio da una pellicola. Andiamo al 2006, anno di uscita del film “Severance – Tagli al personale”, pellicola diretta da Christopher Smith e interpretata da Danny Dyer e Laura Harris. Il film racconta di una comitiva di colleghi di lavoro che – in viaggio premio – si dirige verso uno sperduto paesino dove saranno vittime delle efferatezze di un serial killer. Una pellicola che non passerà alla storia ma che è stata protagonista del processo avvenuto nel 2009 nel Nord dell’Inghilterra e che ha visto la condanna di tre ragazzi. L’accusa? Omicidio, i tre hanno approfittato della visione del DVD del film per trovare ispirazione ed hanno agito proprio come appare nel film di Smith bruciando vivo un ragazzo di 17 anni. Furono proprio i tre a confermare di aver agito volutamente come avviene in “Severance” dichiarando che sarebbe stata una “figata” riproporre quell’assassinio.
Non sarebbe, però, ingeneroso accusare gli autori del film? Veramente possiamo illuderci che quel crimine non sarebbe mai avvenuto se non fosse stato preceduto dalla visione della pellicola? In caso contrario ci sarebbe da stare poco allegri basti pensare a una saga horror come quella di “Saw – L’enigmista” dai “presunti” possibili spunti per la furia omicida degli spettatori. Per non parlare della trilogia di “Hostel” o della agghiacciante pellicola francese “Martyrs”. E che dire di “The Human Centipede”? Dovremmo tremare sospettando che qualcuno possa emulare il protagonista del film nel rapimento e “costruzione” di un millepiedi umano?
La visione di film violenti potrebbe favorire una scarsa propensione ai rapporti umani, alle interazioni di gruppo e nel sapersi “comportare” con l’altro. Il fascino di molti protagonisti della televisione e del cinema è innegabile e questo spiega le ondate di proteste registrate in seguito alla messa in onda della serie “Romanzo Criminale” o i biopic sui criminali Renato Vallanzasca e Felice Maniero.
Un caso celebre di emulazione
In “The Hunger Games”, oltretutto, dobbiamo analizzare la neanche tanto velata critica al sistema televisivo “prontissimo” a nutrirsi di contenuti di qualsiasi tipo con l’unica discriminante dell’audience. Il problema è quello, cosa si può trasmettere? Spesso, anche se non sempre, quello che più attrae il pubblico è la violenza che appare come una fonte inesauribile. Lo stesso cinema ha una buona tradizione di pellicole in cui la vera protagonista è la tv e il contenuti da essa trasmessi. Pensiamo a “Funny Games” di Michael Haneke (1997) in cui il protagonista interagisce con il pubblico con continui sguardi in macchina. E che dire di “Natural Born Killers” di Oliver Stone? Il regista dichiarò che “la pellicola voleva essere una critica ai media che glorificano e ingigantiscono la violenza”. Molti fecero notare che il film faceva esattamente la stessa cosa, esaltando le avventure della coppia di assassini Mickey e Mallory Knox. Fecero quindi scalpore i fatti di cronaca in cui ci si sforzò – forse oltremisura – di trovare delle analogie con la pellicola. Si passa dalle accuse di John Grisham (un suo amico fu ucciso da un “fan” della pellicola) fino a una coppia di diciottenne che “sembra” abbia visto il film prima di compiere una rapina, per finire con l’accusa di aver influenzato i giovani responsabili del massacro alla Columbine High School che utilizzavano l’acronimo NBK nei loro deliranti slogan.
Il filone reality
Considerato che in “The Hunger Games” parliamo di sfide all’ultimo sangue all’interno di un reality, appare doveroso citare “Battle Royale” del regista nipponico Fukasaku in cui un guppo di studenti viene estratto a sorte per partecipare alla “Battle Royale”, un gioco di sopravvivenza dove si vince solo con la dipartita dell’avversario. La stranezza, in questo caso, è che il film non abbia trovato spazio negli Stati Uniti – causa censura – mentre oggi “The Hunger Games”, dalla trama simile, stia spopolando. In Giappone la pellicola è stata motivo di una interrogazione parlamentare. Pensiamo, invece alla pellicola “L’implacabile”. Siamo nel 1987 e il protagonista della pellicola, Arnold Schwarzenegger, vive in un regime autoritario dove sarà il protagonista dello show “L’uomo in fuga”. Ancora, è doveroso ricordare i due “Rollerball” (nel 1975 per la regia di Norman Jewison e nel 2002 di John McTiernan) ambientati in un futuro apocalittico in cui imperversa un pericoloso gioco, il Rollerball – appunto – dove si affrontano due squadre impegnate a lanciare una palla di ferro in un tubo. E ancora, “Live” con roulette russa e premi milionari per i protagonisti che rischiano la vita, o “Death Race” di Paul W. S. Anderson con le drammatiche corse – trasmesse via web – a bordo di moto e auto modificate.
Commenti finali
In Italia “The Hunger Games” arriverà il 1 maggio e quindi c’è ancora molto tempo per le polemiche o le denunce dei genitori infuriati. Non vogliamo prendere una posizione netta e decisa ma siamo davvero sicuri che è giusto sottoporre una pellicola di finzione a feroci critiche? E ricordiamo che spesso le stesse vengono da famiglie convinte di poter tenere i figli “al sicuro” evitando loro un bombardamento di immagini non adeguate. Ora, oltre ai doverosi divieti ai minori, ci domandiamo e vi domandiamo: “Non sarebbe giusto educare bambini ed adolescenti a riconoscere la differenza tra bene e male? Tenendo presente che spesso la causa dei comportamenti di un ragazzo sono legati alla propria educazione e al rapporto con i genitori. L’importante è affrontare in modo coraggioso il film, sia da parte dei più piccoli che degli adulti, ricordando a quest’ultimi che “vietare” un film spesso può provocare la voglia di volerlo visionare ugualmente, da soli. E quello è forse il rischio più grande.