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Intruders: la recensione

L’orrore arriva dalla Spagna, e non è una novità considerata l’enorme produzione horror degli ultimi anni che ha consentito al cinema iberico di consacrarsi come vero e proprio protagonista di questo genere. Grazie ad artisti come Jaume Balaguerò e Paco Plaza (autori della trilogia di “Rec”), Juan Antonio Bayona (“The Orphanage”), Alejandro Amenábar (cileno di nascita ma spagnolo d’adozione e conosciuto per film come “Tesis” e “The Others”), Sergi Vizcaino (“Paranormal Experience 3D”) e Juan Carlos Fresnadillo, regista di “28 settimane dopo” (sequel di “28 giorni dopo” di Danny Boyle) e protagonista, dietro la macchina da presa, di “Intruders”, pellicola interpretata da Clive Owen (“King Arthur”, “Sin City”, “Closer”), Carice Van Houten (“Black Book”) e Daniel Brühl (“Bastardi senza gloria”).

Il film

Spagna: un bambino viene svegliato nel cuore della notte, in quello che appare come il più classico degli incubi favorito, oltretutto, dalla pioggia scrosciante sotto la quale si muove un uomo incappucciato che, una volta fatta irruzione in casa, aggredisce la madre del ragazzo e cerca di trascinare via quest’ultimo. Inghilterra: Mia è una bambina di dodici anni che passa intere giornate impegnata nella stesura di un racconto horror con protagonista un personaggio sfigurato, o meglio, senza faccia. Una notte Hollow Face si materializzerà nella sua camera sconvolgendo la sua famiglia, in particolare, il padre John  che nasconde un agghiacciante segreto riguardante la sua infanzia.

Intruders

Giudizio sul film

Fresnadillo sceglie una doppia ambientazione per il suo ultimo horror, raccontando di uno spirito malvagio da due diversi punti di vista: Juan non ha una figura paterna vicino, vive solo con la madre e non riesce a distinguere sogno e realtà, due dimensioni entrate inevitabilmente in collisione alla prima apparizione del mostro senza faccia. Mia ha invece una solida famiglia alle spalle con tanto di nonni e un padre che si dimostra estremamente amorevole, nonostante debba affrontare la dolorosa perdita di un collega di lavoro. Nel rapporto genitore-bambino si può già evidenziare la prima differenza tra la pellicola di Fresnadillo e altre produzioni horror del passato dove i “piccoli” di casa sono i primi ad essere “visitati” ma spesso non vengono creduti. Qui è diverso, sia Juan che Mia sono difesi come se si fosse creata una sorta di allucinazione condivisa. Attorno il vuoto e la diffidenza, dai medici agli assistenti sociali fino alla Chiesa, rappresentata da un giovane prete interpretato dal bravo Daniel Brühl. Fortuna che la parentesi ecclesiastica sia breve e fine a se stessa ma funzionale in una scena all’interno della casa del Signore dove alcune statue si confondono per forma con il mostro senza faccia. La pellicola punta in modo deciso su un canovaccio comune (un mostro che appare in sogno) per sfruttarlo psicologicamente, e sottolineare l’importanza di una struttura famigliare dietro alle azioni- seppur apparentemente strampalate- dei bambini.

“Intruders” si fregia di una ottima fotografia, soprattutto in notturna, e di un cast di stelle, non comune per una pellicola horror. Le numerose ellissi non sono però sempre convincenti e lo script appare assai lacunoso, a tratti incomprensibile tanto che il “presunto” colpo di scena finale risulta abbastanza prevedibile e non giustifcabile se messo in relazione con il prosieguo del film. L’assenza dell’eziologia del mostro non aggiunge che incertezza e crea un vacillamento  pressoché totale, interrotto solo da pregevoli scene da “manuale”, come nella veloce alternanza tra buio e luce (creata da una banale torcia) che permette il materializzarsi o meno di Hollow Face.

Considerati i mezzi tecnici, il cast e una idea di fondo assolutamente di valore, era logico aspettarsi di più.

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