Dopo essere fuggita da una curiosa setta e dal suo leader carismatico (John Hawkes), Martha (Elizabeth Olsen) tenta di ritrovare una vita normale cercando l’aiuto di sua sorella maggiore Lucy (Sarah Paulson) e di suo cognato (Hugh Dancy), ai quali però non osa raccontare la verità sul suo passato e il segreto che circonda la sua lunga sparizione.
Il pensiero che la setta sia alla sua ricerca non abbandona mai la ragazza. I ricordi che la perseguitano si trasformano poco a poco in una vera paranoia allucinata, in cui realtà e illusione finiscono con il confondersi.
Presentato prima al Sundance Film Festival (dove il regista e sceneggiatore Sean Durkin ha vinto il premio per la migliore regia) e poi nella sezione Un certain renard del Festival di Cannes 2011, uscito negli Stati Uniti lo scorso 21 ottobre, “La fuga di Martha” esce finalmente sugli schermi italiani.
Il titolo italiano del film di Sean Durkin, “La fuga di Martha”, è sicuramente una banalizzazione rispetto al titolo originale, criptico, misterioso e fuorviante: “Martha Marcy May Marlene”. Questi tre sono i nomi con cui la ragazza protagonista viene chiamata nel corso del film: una scomposizione tripartitica della personalità e dell’essenza della ragazza che è una e trina, contemporaneamente Martha, Marcy May e Marlene.
Fin dal titolo, quindi, Sean Durkin ci suggerisce l’idea di una protagonista problematica, indecifrabile, complessa e sfuggevole, sopraffatta da un malessere lancinante che deriva da una lunga serie di concause. Dalla morte della madre all’abbandono da parte del padre, dal difficile rapporto con la sorella maggiore alla convivenza nella seta capitanata dal mefistofelico Patrick (un John Hawkes che si conferma attore di sopraffina classe e uno dei maggiori talenti oggigiorno in circolazione) prima vissuta con entusiasmo e poi con sempre maggiore apprensione e disagio. L’unica costante che sembra percorrere tutte le esperienze di Martha è il senso di inadeguatezza che la pervade in ogni situazione, la consapevolezza di essere sempre e comunque fuori posto sia all’interno della cerchia familiare che in quella cameratesca del gruppo.
“La fuga di Martha” è un film che procede per sottrazione narrativa e riduce al minimo gli elementi che possano portare lo spettatore ad una lettura univoca di ciò che viene mostrato. “La fuga di Martha” è volutamente un prodotto ermetico, difficile, dai ritmi molto dilatati e dalle molteplici possibilità interpretative.
Mischiando costantemente i due piani temporali del presente e del passato, Sean Durkin crea un effetto di costante spaesamento. Dove finisce la realtà e inizia l’incubo di Martha? Quando la concretezza degli eventi lascia spazio all’allucinazione paranoica e viceversa?
“Hai mai provato quella sensazione per cui non sai se una cosa l’hai vissuta o se invece l’hai solo sognata?”: in questa frase sta buona parte dell’essenza de “La fuga di Martha”.
“La fuga di Martha” è un film che pone interrogativi, che richiede uno spettatore vigile e sempre all’erta, in grado di interagire costantemente con la materia filmica che gli viene proposta. Non ci sono soluzioni facili, né si può arrivare ad una verità soddisfacente con un eccesso di razionalizzazione. Il dubbio, l’incertezza, l’impossibilità di stabile in maniera definitiva un senso alla storia fanno de “La fuga di Martha” un film complicato, multiforme, probabilmente irrisolto ma estremamente affascinante.
Tra i grandi meriti de “La fuga di Martha” va segnalata sicuramente la grande prova attoriale di Elizabeth Olsen, sorella minore delle attrici Mary-Kate e Ashley, qui al suo esordio da protagonista. Un esordio notevolissimo, indimenticabile per il modo in cui la Olsen riesce a recitare anche solo con lo sguardo e restituire tutto il senso di spaesamento e di dolore ancestrale che opprime Martha, schiacciata tra le ombre del passato e i fantasmi di un presente incerto.
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