Jackie (interpretata da Pam Grier) è una donna tutta d’un pezzo, una femme fatale dura e sola, il cui cinismo si stempera solo, nel corso del film, nell’attrazione per Max Cherry (Robert Foster). Non può contare su nessun’altro che se stessa ed è costretta ad arrotondare lo stipendio da hostess contrabbandando denaro sporco ed altre amenità oltre confine per conto di Ordell Robbie (Samuel L. Jackson), un trafficante d’armi tanto cialtrone quanto pericoloso.
La storia svolta pericolosamente quando due agenti dell’anti-frode perquisiscono la protagonista e la trovano in possesso di cinquantamila dollari e di una busta di cocaina, su indicazione di Beaumont, uno scagnozzo di Ordell che lui stesso si è premurato di far uscire di prigione ed uccidere. Da qui in poi Ordell sarà determinato ad ucciderla per evitare la prigione.
Fra gli altri personaggi che più o meno influenzeranno gli eventi, come Luis (Robert De Niro) e Melanie (Bridget Fonda), sicuramente spicca Max, il garante delle cauzioni che si trova sempre più invischiato in una storia sporca in cui non ci sono buoni e neanche lui stesso può ormai riconoscersi come tale. Da duro ed incorruttibile infatti, si trova sempre più a rischiare tutto per aiutare Jackie, per la quale ha nutrito fin da subito una attrazione irresistibile, ma che nel finale lo porterà a scegliere se essere fedele ai suoi principi od ai suoi sentimenti.
“Jackie Brown” è passato alla storia come “il film meno riuscito di Quentin Tarantino” e questo probabilmente a causa di un ritmo particolare che caratterizza la pellicola tratta dal romanzo di Elmore Leonard (in originale “Rum Punch” del 1992) e che non tutti hanno gradito. il suddetto ritmo, solo in apparenza lento, si fonde con due tratti caratteristici del cinema di Tarantino, forse i due più caratteristici: lo sfasamento cronologico e la cura maniacale per i particolari. In particolare la seconda di queste è quella che pesa maggiormente nell’estetica pop estremizzata ravvisabile in tutto il film, volutamente eccessivo nelle atmosfere ’70 della blaxploitation contrapposte all’oscurità crescente delle notti ed a quella ancor più spaventosa dei personaggi. E’ infatti facile che lo spettatore venga ingannato dallo sfavillio dei colori e delle musiche accattivanti, tanto da esserne distratto e dimenticare che trattasi si di un film pulp, ma che la storia è un noir vero e proprio. Voler confrontare “Jackie Brown” con un “game changer” come “Pulp Fiction” è l’errore più comune. Rispetto al sunnominato capolavoro, è vero che il susseguirsi degli eventi avviene in maniera più soft, ma questo non toglie nulla ad una trama godibile, il cui intreccio offre una serie di raggiri, complotti, tradimenti e colpi di scena davvero ben orchestrata.
Se proprio di difetti bisogna parlare, allora questi vanno ricercati nel tentativo riuscito a metà di omaggiare le già citate atmosfere delle pellicole della blaxploitation che qui non ha nulla di più di un valore estetico, privo del significato che aveva negli anni 70, in special modo tutto ciò che riguardò all’epoca, la rivalsa culturale e morale degli afroamericani. Al contrario il film esalta e e sottolinea i vizi del sottoproletariato nero, avido, violento, narcisista e superficiale quanto quello dei bianchi annullando, di fatto, l’intento di omaggiarne il cinema.
Anche così però, resta un film che è narrativamente eccellente nella sua originalità. A furia di riavvolgere il tempo e gli avvenimenti attorno ai personaggi, li stratifica tanto nella storia quanto nella percezione dello spettatore, che non può fare altro che essere travolto dalla loro solida fragilità.
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