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Recensioni cult: L’ultimo samurai

Il film del 2003 del regista Edward Zwick narra le vicende del Capitano Nathan Algren (Tom Cruise) che viene incaricato dal governo giapponese di addestrare l’esercito alla guerra moderna.

La storia de “L’ultimo samurai” ruota intorno ad un vero e proprio scontro di culture che, come in ogni occasione di questo genere, finisce per avere un costo molto alto. Il Capitano Algren è un uomo spezzato, che avendo fatto della violenza il suo lavoro, ha sacrificato la pace e la possibilità di una vita normale. E’ alcolizzato e perseguitato da ricordi terribili di cose che non può perdonarsi ed il suo viaggio in Giappone, sembra quasi più un tentativo di fuggire dai suoi demoni, che una scelta dettata dal bisogno. Naturalmente il male che lo danna è dentro di lui e quindi lo segue anche nella terra del Sol Levante dove il giovane Imperatore Meiji, ha iniziato un processo di modernizzazione economica e culturale del paese e questo passa inevitabilmente per lo svecchiamento di un sistema addirittura millenario.

Il poster del film

Parte integrante di questo sistema sono i samurai, che si oppongono a questo processo, vedendo nella modernizzazione fortemente voluta dal governo e dai grandi poteri economici, la perdita dello spirito giapponese. A capo dei ribelli (ribelli qui in accezione particolare) c’è Katsumoto (Ken Watanabe) che dopo aver fatto prigioniero Nathan Algren, ne diventa quasi il mentore, facendogli conoscere la cultura che  fino a quel momento l’americano non aveva voluto e saputo apprezzare.

Ad un certo punto Algren è quasi sopraffatto dalla bellezza e dalla pace che riesce a trovare presso il villaggio dei samurai ed anche se lentamente, riesce a guadagnarsi il rispetto dei poeti guerrieri, unendosi a loro in una battaglia persa in partenza, ma alla quale non è possibile sottrarsi.

La figura di Katsumoto è forse quella più affascinante del film. Completamente contrapposta a quella del Capitano Algren, è quella che fa anche da contrappunto narrativo. Mentre il Capitano americano è vittima del senso di colpa e dei ricordi legati alla guerra, Katsumoto ne è orgoglioso ma non come un occidentale potrebbe immaginare. Nella cultura giapponese tradizionale, ogni cosa ed ogni persona hanno il loro posto specifico non solo nella società, ma nell’universo. Katsumoto è un samurai, un guerriero che ha votato la sua vita a servire un padrone (in questo caso lo stesso Imperatore che vuole disfarsi di loro) e quindi non può sentirsi in colpa perché svolge quello che è, a diversi livelli, sia il suo lavoro (nell’accezione giapponese di ambizione), ma anche il suo destino. Ed è questo che cerca di spiegare a Nathan, che è così testardamente legato al suo dolore perché non può perdonarsi.

“…Capita a chi ha visto ciò che noi abbiamo visto. Allora vengo in questo luogo assieme ai miei antenati e mi torna un pensiero: come questi germogli, stiamo tutti morendo. Riconoscere la vita in ogni respiro, in ogni tazza di tè e ogni vita che togliamo…”

La bellezza de “L’ultimo samurai“, del regista di altre pellicole di grande successo come “Vento di passioni” e “Blood Diamond – Diamanti di sangue“, consta nel tentativo, piuttosto riuscito, di coniugare nel tempo limitato di una storia, l’infinito susseguirsi di vita e morte, bellezza ed inferno che caratterizzano l’esistenza. Lo stupendo villaggio dei samurai (le cui riprese sono state effettuate in Nuova Zelanda) collide con le passioni, spesso violente, di chi lo abita. Così come l’educazione e la ferrea ospitalità di Taka (Koyuki Kato) coprono come una pesante armatura il suo disprezzo verso l’americano che le ha ucciso il marito prima, ed il suo amore per lo stesso, poi.

Un film sicuramente da vedere, magari come introduzione ai film sui samurai, con un orecchio particolare alla colonna sonora curata da Hans Zimmer.

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Andrea Lupia
Andrea Lupia
Scrittore, disegnatore, attore e poeta lo-fi.
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