“Easy Rider” (1969) è il film interpretato da Peter Fonda, Jack Nicholson e Dennis Hopper (che ne è anche regista) che divenne assieme a pochi altri importanti esempi, manifesto di un’intero periodo storico.
Le vicende narrate nel film riguardano Wyatt e Billy (rispettivamente Peter Fonda e Dennis Hopper) che sfruttando i proventi del loro ultimo lavoro di contrabbando fra Messico e Stati Uniti, decidono di iniziare un viaggio attraverso gli States alla ricerca dell’America. Appena procuratisi due nuovi chopper partono per la loro missione che li porterà ad incontrare diversi personaggi e situazioni, fra i quali George (Jack Nicholson), il giovane avvocato alcolizzato che li accompagnerà per parte del viaggio, che si rivelerà tutt’altro che idilliaco.
Questo film è giustamente inserito fra le pellicole più importanti della storia del cinema e per più di un motivo. Sono in molti infatti a considerarlo, oltre che il “road movie” per eccellenza, il film motociclistico più celebre in assoluto, ma anche così il suo valore artistico travalica quelle che sono le considerazioni più “cinefile”. Le ambientazioni, i luoghi, che sono personaggi alla pari con quelli interpretati dagli attori se non superiori ad essi, sono quelli che assieme alla musica, trasformano la pellicola di Hopper in un vero viaggio, che per essere considerato tale, deve rispondere ad almeno una caratteristica. L’incertezza. Ed è su questi binari psichedelici che il film si muove destabilizzando lo spettatore che, tanto all’epoca quanto oggi, non si aspetta la serie di avvenimenti che si verificheranno appena dietro una curva o attorno ad un falò.
Nel contesto in cui si andò ad inserire, il film ebbe effetti notevoli e non solo riguardanti l’impatto sulla cultura di genere, ma anche su quello che all’epoca poteva essere considerato o meno un film di successo. Secondo molti addetti ai lavori infatti, la pellicola non avrebbe avuto alcuna speranza di farsi strada, in special modo presso il pubblico più giovane, considerato più interessato a storie d’amore e d’avventura più tradizionali. Fu invece non solo un grandissimo successo di pubblico e di critica, ma contribuì anche a sdoganare l’idea di cosa poteva essere o non essere parte di un film che potesse aspirare ad essere tanto un buon prodotto commerciale quanto una vera opera artistica. In un momento storico come quello della fine degli anni ’60, scosso da una voglie e da una vera necessità di rinnovamento e di scoperta, Easy Rider si guadagnò un posto d’onore in quanto capace di coniugare in un solo racconto quello che poteva essere il sentire di quella che è ricordata come l’epoca della ricerca e della sperimentazione umana. E questo è probabilmente merito della volontà di mostrare tanto le meraviglie, quanto l’orrore di una nazione che pur di non ammettere di essere allo sbando, accusava chi cercava di uscire da binari arrugginiti e pericolosi, sfogando su di essi quell’odio stupido e figlio del niente, tanto caro a chi non capisce il nuovo.
La parabola dei protagonisti che si avventurano nei meandri di un paese immenso, ma senza riuscire a trovare ciò che cercano è ben espressa dalle parole del personaggio di Jack Nicholson:
“Una volta questo era proprio un gran bel paese, e non riesco a capire quello che gli è successo.”
Voto:
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