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Le paludi della morte: la recensione

Ispirato a fatti realmente accaduti, “Le paludi della morte” (“Texas Killing Fields”) è diretto dalla regista Ami Canaan Mann (figlia del regista Michael Mann che qui compare nelle vesti di produttore) che dirige un cast ben affiatato e di valore dove spiccano i volti noti Sam Worthington (“Avatar”, “Terminator Salvation” , “La furia dei titani”) e Jeffrey Dean Morgan (“Un marito di troppo”, “Motel Woodstock”). La “quota rosa” viene rispettata grazie alla presenza della bella Jessica Chastain (“The Tree of Life”, “The Help”) e di Chloë Grace Moretz (“Hugo Cabret”, “Dark Shadows”). La pellicola è stata girata in Louisiana in una location spettrale che potesse rendere giustizia a una rappresentazione del film cupa e sinistra.

Il film

Mike e Brian sono due agenti della squadra omicidi di Texas City che, nonostante non rientri nella loro giurisdizione, si troveranno ad indagare su un serial killer insieme alla collega Pam, ex moglie di Mike. L’assassino uccide e mutila le sue vittime lasciandole agonizzanti nei Killing Fields, una zona paludosa fuori città dove la natura regna incontrastata e non vi è traccia di insediamento umano. L’ultima “preda” del killer è la piccola Anne, una ragazzina del posto a cui i due agenti sono legati come fosse una figlia. La ragazzina viene rapita e per la squadra omicidi inizierà una dura lotta contro il tempo con l’obiettivo di portarla in salvo prima che possa diventare l’ennesimo “abitante” dei Killing Fields.

Le paludi della morte

Giudizio sul film

Per la sua seconda pellicola la talentuosa figlia di Michael Mann si affida a un canovaccio ordinario di genere poliziesco presentandoci personaggi, almeno apparentemente, stereotipati: un poliziotto buono e con una famiglia numerosa, il collega più cattivo, divorziato amante dell’alcol e con un cane come unica compagnia (chi vi ricorda?),  e una madre alcolizzata (a proposito, fa sempre piacere vedere sul grande schermo Sheryl Lee, la Palmer della serie “Twin Peaks”) con al seguito una ragazzina indipendente che, inevitabilmente, troverà una “famiglia” nei due protettivi agenti di polizia.

Nonostante si voglia portare sullo schermo una storia vera, quella avvenuta nel 1969 nei pressi di Texas City quando più di cinquanta ragazze furono barbaramente uccise e sepolte nel fango, la pellicola, sceneggiata dall’ex agente federale Don Ferrarone autore dell’omonimo libro, racconta il punto di vista degli agenti di polizia, rinunciando a quello del serial killer. Nel depresso tessuto sociale di Texas City si nascondono mali e contraddizioni della società americana, svelati con pazienza e dovizia là dove tutti sembrano abbandonati a se stessi e le richieste a Dio sono ridotte al lumicino, in una mesta dichiarazione di resa della popolazione. Eppure la fede e la preghiera trovano il loro spazio e si fanno strada tra alcolizzati, pervertiti e assassini, riconoscendo nel poliziotto buono Brian un motivo per manifestarsi.

“Le paludi della morte” stenta a decollare nonostante un promettente inizio, lasciandoci la sensazione di aver assistito a una pellicola che avrebbe voluto dire molto ma che si perde in snodi narativi dalla difficile ricomposizione, con un finale scontato – anche troppo – che azzera una sceneggiatura tutto sommato robusta. A convincere è, invece,  la tetra ambientazione e il ritratto visivo della America anni settanta popolata da personaggi (ottima l’interpretazione di Stephen Graham) dalla discutibile morale.

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