Le proteste dei giorni scorsi al consolato Americano a Bengasi, culminate con la tragica morte di almeno quattordici persone, erano rivolte al film “The innocence of muslims“. Le vittime hanno perso la vita a causa dell’incendio appiccato dai manifestanti alla sede del consolato e fra queste, oltre ad una decina di agenti di sicurezza libici, hanno trovato la morte quattro cittadini statunitensi, uno dei quali era lo stesso ambasciatore americano, Chris Stevens. Le proteste si sono rapidamente allargate anche all’Egitto, dove le autorità hanno addirittura spiccato un mandato di cattura nei confronti dei produttori del film. Le notizie che si rincorrono in queste ore, parlano di un attacco preparato in anticipo, per il quale il film sarebbe stato solo un pretesto.
Il film in questione, “The innocence of muslims“, sarebbe un film quasi satirico di oltre due ore sull’Islam in generale e con una attenzione particolare alla figura del Profeta Maometto, particolarmente vilipesa secondo i manifestanti. Costato cinque milioni di dollari, sarebbe stato finanziato da privati e non sono mancate le voci (ancora da confermare) secondo le quali i finanziatori sarebbero di fede Ebraica o addirittura Israeliani.
Ciò che è apparso subito ovvio è però la pochezza della motivazione, troppo debole perfino per questi periodi così tesi, tanto da far sorgere il sospetto del pretesto. La coincidenza con la commemorazione dell’undici settembre (il terribile attentato che distrusse il World Trade Center a New York) ha subito fatto sorgere seri dubbi sull’effettiva motivazione dell’attacco, al quale gli Stati Uniti hanno risposto prontamente inviando due navi da guerra nella zona. Tempo di mostrare i muscoli, in tempo di elezioni, ma ci si chiede se un semplice film, per quanto offensivo, possa essere un motivo (o anche solo un pretesto) per la morte di esseri umani. Il cinema di certo, non dovrebbe essere questo.