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ParaNorman: la recensione

L’undicenne Norman Becock (doppiato in lingua originale da Kodi Smit-McPhee) trascorre le sue giornate a guardare film horror e studiare i fantasmi.

Norman ha, infatti, ereditato dalla sua amata nonna (Elaine Stritch) la capacità di vedere e di parlare con i morti, tanto che, quasi tutti i giorni, preferisce la loro compagnia a quella del severo padre (Jeff Garlin), della frizzante madre (Leslie Mann) e della sorella maggiore Courtney, una ragazza superficiale e tutta apparenza (Anna Kendrick). Alla scuola media, Norman schiva il bullismo di Alvin (Christopher Mintz-Plasse) e affronta con riluttanza i tentativi di socializzazione del paffutello Neil (Tucker Albrizzi).

La vita di Norman rischia di cambiare radicalmente quando lo zio Prenderghast (John Goodman) gli parla dell’antica maledizione di una vecchia strega che si sta per avverare. Norman si rivelerà essere l’unico in grado di fermare l’orda di zombie che metterà in pericolo la città, grazie anche all’aiuto di un’improbabile squadra d’assalto, formata da Courteney, Alvin, Neil e il suo muscoloso fratello maggiore Mitch (Casey Affleck).

A tre anni di distanza dallo straordinario successo di “Coraline e la porta magica” di Henry Selick, la casa di produzione LAIKA torna a sfornare un nuovo film, vale a dire “ParaNorman”, secondo progetto animato in stop motion e in 3D realizzato da questo emergente studio cinematografico.

Norman Becock, protagonista di ParaNorman

Rispetto a “Coraline e la porta magica”, “ParaNorman” ridimensiona le proprie ambizioni e gioca molto di più sulla componente citazionista e orgogliosamente nerd.

L’immaginario in cui si muovono i personaggi di “ParaNorman” ha evidenti richiami burtoniani, così come salta immediatamente alla mente il confronto con il regista di “Edward mani di forbice” e “Dark Shadows” quando si palesano le strizzatine d’occhio a certo cinema horror di serie z o quando prende sostanza, man mano che il racconto avanza,  il percorso di formazione di freak che rivendicano e accettano la propria diversità a dispetto del perbenismo e all’omologazione ottusa in nome di una presunta normalità.

“ParaNorman” sembra però puntare decisamente più sulla componente ludica e spigliata, senza troppo badare ad una originalità tematica pressoché assente. Quindi il Norman Becock protagonista del film è un antieroe abbastanza comune nella propria stranezza (vede e parla con i morti come Haley Joel Osment ne “Il sesto senso”), quasi prevedibile nella sua alienazione rispetto ad un mondo più mostruoso di quello dei fantasmi del passato.

In tal senso, “ParaNorman” è un film profondamente post-moderno, saturo di rimandi, influenze e omaggi cinematografici e letterari (alcuni al limite del plagio): forse troppi per non precludere un’empatia a corrente alternata con ciò che vediamo sullo schermo.

Norman e Neil in una scena di ParaNorman

Il merito maggiore di “ParaNorman”, quindi, sta nella capacità di valorizzare al meglio quella sua componente meno profonda, ma non per questo meno cinematografica: la spettacolarità.

Dotato di un ritmo incalzante, di trovate visive e registiche davvero notevoli e di un 3D funzionale e azzeccato, “ParaNorman” riesce a divertire e a coinvolgere, a patto che non si ricerchi qualcosa d’altro nelle pieghe del racconto. O meglio, qualcosa c’è, ma è piuttosto banale e telefonato da passare in secondo piano rispetto al piano di mero intrattenimento.

“ParaNorman” rimane un buon film, anche se dopo l’esperienza dello straordinario “Coraline e la porta magica” era lecito aspettarsi qualcosa di più.

Un plauso per il doppiaggio italiano, affidato a validi professionisti e non ai Filippo Timi di turno.

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