Dopo la morte del padre, Sal Paradise (Sam Riley) un aspirante scrittore newyorchese, incontra Dean Moriarty (Garrett Hedlund), giovane ex pregiudicato dal fascino maledetto, sposato con la disinibita e seducente Marylou (Kristen Stewart).
Tra Sal e Dean l’intesa è immediata e simbiotica. Decisi a non farsi rinchiudere in una vita vissuta secondo le regole, i due amici rompono tutti i legami e si mettono in viaggio con Marylou. Assetati di libertà, i tre giovani partono alla scoperta del mondo, degli altri e di loro stessi.
A che serve adattare nel 2012 un testo piuttosto sopravvalutato e ormai datato come “Sulla Strada”, romanzo che Jack Kerouac scrisse nel 1951 e vide pubblicato solo sei anni dopo?
Se poi l’adattamento, sfuggito dalle mani di Marlon Brando (proprio all’inizio di quest’anno è stata venduta all’asta una lettera che Kerouac scrisse al divo di “Fronte del porto” per aiutarlo nei finanziamenti di un film tratto dal suo libro, offrendogli la parte del protagonista Dean Moriarty) e Francis Ford Coppola (che ne ha acquistato i diritti nel 1968, ma non è mai riuscito a dar seguito al progetto, fino ad oggi), è finito nelle mani di un mestierante come Walter Salles le domande sono molteplici e più che giustificate.
“On the Road” è un film profondamente povero: povero di inventiva, di personalità, di interesse. L’impressione è quella di assistere ad un prodotto datato e superficiale che si arrabatta in un maledettismo d’accatto tra scene di sesso inutili (rivelatrici di una profonda mancanza di idee), personaggi abbozzati e abbandonati a sé stessi e un campionario di eccessi tanto banali quanto irritanti per la loro pochezza didascalica.
In “On the Road” manca completamente un respiro epico, manca una capacità di coinvolgere empaticamente lo spettatore nelle vicende di personaggi tratteggiati molto frettolosamente, senza un reale spessore psicologico, privi di una reale motivazione che ne giustifichi le azioni al di là di un generico senso di inquietudine, tanto dichiarato a parole quanto poco tangibile o quanto meno intuibile.
Il tutto corredato da una messa in scena patinata, piatta e apatica, priva di ritmo e molto compiaciuta nella propria vuota estetizzazione. Il racconto filmico in “On the Road” arranca per le abbondanti due ore senza mai un sussulto, un’emozione, un dialogo o un momento veramente memorabile. Solo tanta noia e zero mordente.
Pur seguendo alcuni degli elementi fondanti dell’esile trama del romanzo di Jack Kerouac, il film di Walter Salles rimane fedele all’intreccio ma tradisce lo spirito del manifesto programmatico della Beat Generation. Nella trasposizione filmica si perdono completamente le tracce quel senso di rabbia, di disperazione ragionata, di una indefinibile voglia di libertà e di entusiastica ricerca di se stessi. Tutto appare inevitabilmente ingessato, meccanico, poco convinto e poco convincente.
Inoltre, mentre lo stile frenetico e sincopato era uno dei punti di forza del libro, “On the Road” è un prodotto inerme e anonimo, ripetitivo e monotono ai limiti dello stucchevole.
A peggiorare la situazione ci pensano i tre amorfi interpreti principali, sprovvisti del carisma e del magnetismo (oltre che del talento) necessario per risultare credibili figure tormentate della Beat Generation. In particolare Kristen Stewart sembra ormai fossilizzata nel ruolo della cerbiatta ansimante e dagli occhi languidi perennemente bisognosa d’affetto.
Disastroso.
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