David Ayer è uno degli sceneggiatori più apprezzati del panorama hollywoodiano e probabilmente l’unico capace di rappresentare le realtà più disagiate di Los Angeles, come in “Training Day” (del quale ha firmato la sceneggiatura), un film di successo che si avvale di uno script di valore. In “End of Watch“, Ayer si mette alla prova anche nelle vesti di regista coinvolgendo nel suo progetto Jake Gyllenhaal e Michael Pena nel ruolo di due poliziotti del distretto di Newton nella Los Angeles dei poveri e delle bande armate. Completano il cast: Anna Kendrick, America Ferrera, Natalie Martinez, David Harbour, Cody Horn, Frank Grillo e Shondrella Avery.
Trama
Mike e Brian sono due agenti della periferia di Los Angeles, una sorta di zona franca dove anche le forze dell’ordine devono muoversi con estrema cautela per non rimanere vittime di attentati. L’affiatamento tra i due agenti è provocata da una sintonia registrata anche una volta smesse le divise da tutori dell’ordine. Sono amici, anche le loro compagne diventano amiche, e si guardano alle spalle ogni giorno della loro vita. Brian ha la passione per le riprese amatoriali e si diverte nel portare con se una videocamera che possa registrare le vicende quotidiane – e decisamente movimentate – della realtà di Newton, ovvero la zona che Bryan stesso definisce come “la più pericolosa della città”. Ben presto si vedranno coinvolti in affari illeciti ad ampio raggio su cui indagheranno senza remore e saranno costretti a lottare per la sopravvivenza.
Giudizio sul film
Le inquadrature iniziali denotano una chiara intenzione di voler dare alla pellicola una impronta da real tv, come nel primo forsennato inseguimento con una soggettiva che ci permette una chiara identificazione con i protagonisti della storia. Le riprese della loro intimità (anche nelle piccole discussioni) ci aiuta, invece, ad analizzare l’operato dei personaggi con un lato emotivo ben più esposto del dovuto arrivando, noi, a parteggiare per loro tralasciando le diverse componenti filmiche, per approcciare al racconto in maniera più umana. Una empatia che, tanto per citare “Training Day”, non è strettamente dovuta ma appare come autoimposta. Il coraggio, l’intraprendenza e l’onestà lavorativa di Bryan e Mike bucano lo schermo quanto basta per lasciarci inchiodati alla poltrona in attesa del climax. Lo script, solo apparentemente risicato, dona alle due figure una sospetta veridicità che ci introduce nella seconda parte del film dove ai sorrisi subenterà la paura. Mike e Bryan sono infatti due personaggi scomodi nel quartiere, rappresentanti autentici di una giustizia che non si vende e che quindi va combattuta, anche – se necessario – fino alla morte.
Non si respira l’aria della Los Angeles bene in “End of Watch“, le ville di Beverly Hills e il molo con annesso luna park di Santa Monica sono assai lontani e quello che ci rimane è un alveare di situazioni al limite, dove (soprattutto alla fine) l’effetto claustrofobico è garantito così come i meri esercizi stilistici in quelle rappresentazioni in soggettiva – valore aggiunto del film – così mutuate dalla realtà dei videogame.
Probabilmente un po’ sottotono all’inizio là dove Ayer insiste sul “pre”, ben presto ci rendiamo conto di una storia che sale adrenalinica e appassionante con risvolti drammatici da non sottovalutare, ripresi in tutta la loro nuda crudeltà a tal punto da lasciarci con l’amara sensazione che sì, forse si tratta veramente di “real tv”.
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