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Django Unchained: la recensione

“Django Unchained” rappresenta l’omaggio di Quentin Tarantino agli spaghetti western e in particolare al “Django” di Corbucci, interpretato nella versione originale da Franco Nero, presente qui con un piccolo ruolo nei panni del negriero Amerigo. Il regista di Knoxville si è affidato, per questa epopea (con oltre due ore tagliate dal montaggio finale), a un trittico di attori di livello: l’ormai feticcio Christoph Waltz, un dentista e cacciatore di taglie, Jamie Foxx, nei panni dello schiavo liberato e desideroso di vendetta, e  Leonardo Di Caprio nel ruolo di un ricco e perfido trafficante di schiavi. Completano il cast: Kerry Washington (Broomhilda, la moglie di Django), Samuel L. Jackson (Stephen, aiutante di Calvin Candie) e Don Johnson (Big Daddy). Piccolo cameo per Tarantino e per l’attore Jonah Hill. Una curiosità: sono numerosi i personaggi che per altri impegni non hanno potuto partecipare alla pellicola: Kevin Costner, Kurt Russell, Joseph Gordon-Levitt e Sacha Baron Cohen.

Trama

Nel 1858, poco prima prima della Guerra civile americana, il Dottor King Schultz, a bordo di un carretto da dentista, libera lo schiavo Django, l’unico che conosce i volti dei fratelli Brittle, proprietari di una piantagione con una grossa taglia sulle loro spalle. Taglia che Schultz intende incassare. Tra i due nasce un sodalizio, affettivo e lavorativo, e insieme gireranno l’America a caccia di criminali aspettando l’occasione giusta per poter “riscattare” Broomhilda, la moglie di Django, tenuta schiava da Calvin Candie.

Il poster di Django Unchained
Il poster di Django Unchained

Le citazioni

Pur non essendo un remake, l’originale pellicola diretta da Sergio Corbucci viene da subito omaggiata da Tarantino nell’incipit iniziale con la medesima canzone che segna l’ingresso in scena di Django e l’utilizzo dei titoli di testa,  con un cubitale lettering rosso acceso. Entrambi gli inizi sono piuttosto evocativi con i protagonisti ripresi di spalle: nell’originale potevamo ammirare la camminata stanca di Django con una bara al seguito, mentre in questo caso la schiena marchiata dalle cicatrici ci introduce nella personale visione della schiavitù secondo Quentin. “Django Unchained” è ricchissimo di citazioni e riferimenti vari partendo dal “The Birth of a Nation” (1915) di Griffith (vedi la divertente scena con i membri di un improvvisato Ku Klux Klan) a “Il grande silenzio” (dello stesso Corbucci), e “Minnesota Clay” (come il nome del  saloon dove si rifugiano Schultz e Django) per finire con velati omaggi alla blaxploitation con il “Mandingo” di Richard Fleischer e “The Legend of Nigger Charley” con Fred Williamson. Ma i richiami sono continui pensando anche ai nomi dei protagonisti: da Broomhilde Von Shaft (“Shaft”, il detective della pellicola “black” di Gordon Parks) a King Schultz (“Lo chiamavano King”, un western italiano anni settanta). Insomma: oltre il suo stesso cinema, Tarantino attinge dal western e non solo (basti pensare anche a “Taxi Driver”) per un gigantesca ed impegnativa rivisitazione di un genere e di una parte – forse la più oscura in assoluto – della storia americana..

Leonardo Di Caprio (Calvin Candie)
Leonardo Di Caprio (Calvin Candie)

Giudizio

Due ore e quarantacinque di divertimento puro tra sangue, duelli, combattimenti tra neri, ammiccamenti e frustate con alcune – già memorabili – scene madri, su tutte una piantagione di cotone intrisa del sangue di uno dei suoi proprietari e una incredibile sparatoria in quel di Candyland, la tenuta negriera per eccellenza. Tarantino rinuncia ad alcuni eccessi tipici del suo cinema per dedicarsi a una rappresentazione più in linea con il linguaggio cinematografico del genere di riferimento nonostante, e pensiamo in particolare all’incipit, la messa in scena grottesca ricorda più il cinema dei Coen che gli spaghetti western. E allora possiamo parlare di genere o di un ibrido tarantiniano? A nostro avviso “Django Unchained” ha molto della tradizione western italiana, a cominciare dall’antieroe spinto da un interesse personale (Django desidera rincontrare la sua Broomhilda) o pensando alle ambientazioni (come il Texas o il Mississippi allo stesso tempo inospitali e ai tempi gravemente bigotte e orribilmente schiaviste), ai dialoghi meno pomposi (nonostante sia piuttosto verboso come un po’ tutto il suo cinema), alle sparatorie cruenti.

Una scena di Django Unchained
Una scena di Django Unchained

C’è molto della tradizione western nostrana, per anni dileggiata da una critica nostalgica del western classico americano, ma è presente anche una buona dose di citazionismo postmoderno e di mitologia nordica in quella – pericolosa oltretutto – rivisitazione e ricontestualizzazione ai tempi della schiavitù di Sigfrido e Brunilde (una idea che sembra essere venuta a Tarantino dopo aver assistito insieme a Waltz a una rappresentazione wagneriana).

Nonostante “Django Unchained” sia lungo 165 minuti, la pellicola scorre piuttosto vivacemente impegnando lo spettatore in una caccia al tesoro, là dove il tesoro è quel cinema così incredibilmente autoreferenziale e  fonte inesauribile di ispirazione dalle musiche, ai nomi, alle scene, ai vestiti, alle ambientazioni, alle inquadrature. Eppure sarebbe riduttivo pensare a un film di Taratino come  a una messa in scena che attinga e assembli senza influire in maniera determinante con la cifra autoriale di riferimento. Pensiamo, ad esempio, a una gestione superba degli spazi chiusi (come nella  taverna in Bastardi senza gloria o il magazzino di “Reservoir Dogs”) nella messa in scena organizzata nella tenuta di “Monsieur Candie” là dove ogni gesto, o semplice sguardo, è incredibilmente funzionale o alla capacità di parodiare prima nazisti, ora negrieri, mostrando la faccia peggiore della storia, sfacciatamente e senza remore.

Christoph Waltz (King Schultz)
Christoph Waltz (King Schultz)

 

Gli attori

Malgrado il protagonista della storia sia proprio Jamie Foxx nel ruolo di Django, a stupire – ed emozionare – sono soprattutto gli attori supporter, come il sontuoso Christoph Waltz (giustamente candidato agli Oscar), il perfido e sfrontatamente iper-espressivo Di Caprio (nonostante ci sarebbe piaciuto un maggior approfondimento del suo personaggio) e Samuel L. Jackson, invecchiato – tanto da essere quasi irriconoscibile – e capace di regalarci uno spassosissimo schaivista di colore. Divertente la partecipazione di Don  Johnson mentre appare un po’ sacrificato il personaggio di Broomhilda interpretato da Kerry Washington ed evidentemente forzato – ma probabilmente irrinunciabile- il cameo di Franco Nero.

Commenti finali

“Django Unchained” è un progetto ambizioso (lo dimostra il cast numeroso, i tempi di produzione, il girato e i successivi tagli) e decisamente sentito. Un film che Tarantino agognava  e nel quale lo stesso regista si regala un piccolo – ma graditissimo – ruolo. L’ambientazione, la storia di riferimento e una regia impeccabile, nonostante  qualche battuta a vuoto, lo rendono uno dei migliori prodotti del regista del Tennessee.

Correte a vederlo al cinema

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