Lo scrittore e giornalista Mark O’Brien (John Hawkes) ha trentotto anni e ha trascorso gran parte della sua vita all’interno di un polmone d’acciaio: la macchina lo aiuta a respirare e lenisce i dolori causati dalla poliomielite che lo affligge da diverso tempo. Impossibilitato a muoversi, Mark trova conforto nelle sue poesie, nella fede e nelle chiacchierate con il suo amico e confessore, padre Brendan (William H. Macy). L’arrivo di una nuova assistente, l’affascinante Amanda (Annika Marks), fa scattare qualcosa in Mark, risveglia degli istinti sopiti e gli fa capire che la sua vita fino a quel momento è stata incompleta in quanto non ha mai provato un sentimento d’amore né è mai stato contraccambiato.
Una goffa e avventata dichiarazione ad Amanda si risolve in un nulla di fatto, ma porta Mark a decidere di cercare nuove emozioni e a esplorare la propria sessualità. Rivoltosi ad una terapista del sesso, Mark viene informato della possibilità di ingaggiare una partner surrogato che possa aiutarlo a perdere la verginità e a scoprire attivamente il mondo del sesso.
La professionista ingaggiata è l’affascinante Cheryl Cohen Greene (Helen Hunt), sensuale e disinibita dottoressa che permette a Mark di fare questo importante passo e conoscere, per la prima volta, le gioie del rapporto fisico. Ben presto, però, il rapporto tra Mark e Cheryl diventa più complesso: il coinvolgimento emotivo cresce esponenzialmente ad ogni nuova seduta e la vita di entrambi sembra destinata a cambiare radicalmente.
Tra i film indipendenti dell’ultimo anno, “The Sessions” è stato senz’altro uno dei più apprezzati dalla critica americana, pur non ottenendo il riscontro sperato in termini di candidature nella stagione dei premi.
Presentato e applaudito all’ultimo Festival di Torino, “The Sessions” era un film ad alto rischio di facilonerie melense o semplificazioni ricattatorie: invece il regista e sceneggiatore Ben Lewin (come Mark O’Brien, a sua volta affetto da poliomelite) riesce a gestire sapientemente il racconto, senza risparmiare i risvolti più drammatici ma tratteggiandoli con una sincerità partecipata, una grazia e un umorismo sempre azzeccati e funzionali, refrattari a qualsiasi furbizia strappa lacrime.
Partendo dall’esperienza vera dello stesso O’Brien, che raccontò delle “sessioni” sessuali in alcuni articoli e saggi, Lewin filma tutto con semplicità, senza censurare nulla: le sessioni tra Mark e Cheryl mostrano l’imbarazzo iniziale tra i due, le difficoltà psicologiche e fisiche dei primi incontri, i momenti più intimi e sinceri, la naturalezza di un rapporto che si fa sempre più emotivamente impegnato.
“The Sessions” è un film profondamente umano, leggero e toccante per come riesce in egual misura a divertire (“Credo in un Dio dotato di humor; troverei insopportabile non avere qualcuno da incolpare” confessa Mark al padre Brendan di un ottimo William H. Macy) e commuovere, sempre con tenerezza ed essenzialità.
La grande forza di “The Sessions” sta però nelle grandi prove dei suoi due protagonisti. Con questo film John Hawkes si conferma uno dei maggiori talenti attoriali in circolazione, snobbato inspiegabilmente da Oscar e Golden Globe per una performance sottile e difficilissima, tutta giocata sulle espressioni facciali, sugli sguardi, sulle tonalità vocali, su un’immobilità fisica contrapposta ai turbamenti e alla vitalità del suo animo. Altrettanti applausi li merita sicuramente Helen Hunt (lei sì, giustamente, candidata a Oscar e Golden Globe), splendida cinquantenne, a suo agio nel mostrare il proprio corpo, fragile nonostante la propria maschera di rigorosa professionalità, commossa e commovente nella relazione che viene a crearsi con Mark.
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