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La scelta di Barbara: la recensione

Estate 1980. Barbara (Nina Hoss), un medico, ha richiesto un visto di espatrio dalla Germania dell’Est. Per punizione, è stata trasferita da Berlino in un piccolo ospedale di campagna, lontano da tutto.  Jörg, il suo compagno che vive in occidente, sta già pianificando la sua fuga. Barbara aspetta, restandosene in disparte. Il nuovo appartamento, i vicini, la campagna: niente di tutto questo significa qualcosa per lei. Come chirurgo pediatrico è attenta e sollecita con i pazienti, ma distante con i colleghi. Sente che il suo futuro è altrove. Ma il suo capo, Andre (Ronald Zehfeld), la confonde. La fiducia che le dimostra nelle sue capacità professionali, il suo atteggiamento affettuoso, il suo sorriso.

Perché la copre quando aiuta la giovane fuggitiva Sarah? È stato incaricato da qualcuno di tenerla d’occhio? È innamorato? E mentre il giorno della fuga si avvicina rapidamente, Barbara comincia a perdere il controllo: su se stessa, sui suoi progetti, sul suo amore.

Presentato al Festival di Berlino 2012, dove ha conquistato l’Orso d’Argento per la miglior regia, “La scelta di Barbara” è il nuovo film di Christian Petzold a quasi quattro anni di distanza dall’applaudito “Jerichow” (presentato in concorso alla sessantacinquesima edizione del Festival di Venezia).

Una scena de La scelta di Barbara di Christian Petzold
Una scena de La scelta di Barbara di Christian Petzold

“La scelta di Barbara” è un film profondamente autoriale, volutamente ostico e di non facile fruibilità, a tratti forse troppo soggiogato al proprio rigore formale e a una narrazione quasi ellittica, che procede a sprazzi, seminando tracce e  invitando lo spettatore a riempire i buchi del racconto. La forza de “La scelta di Barbara” sta comunque nella sua capacità di risultare coinvolgente e spiazzante, malgrado la difficile interazione con una messa in scena spartana e suggestiva in egual misura.

Petzold punta soprattutto sulla valorizzazione dei dettagli, dei mezzi toni e delle sfumature: in “La scelta di Barbara” la forza drammatica della storia non deflagra mai, ma lavora sottopelle nella coscienza dello spettatore, scava in profondità e vede crescere progressivamente la propria potenza emotiva più di quanto non dà a vedere in apparenza.

Come in un film dei fratelli Dardenne, Petzold pedina la quotidianità nel suo compiersi, nel suo evolversi quasi casualmente e banalmente: “La scelta di Barbara” riesce ad essere espressivamente ricco e pregnante anche grazie allo stile registico essenziale, povero di mezzi ma non certo di idee.

Nina Hoss in La scelta di Barbara
Nina Hoss in La scelta di Barbara

“La scelta di Barbara” è un racconto di alienazione umana, di necessaria presa di consapevolezza del proprio essere e del ruolo che si decide di rivestire nel mondo; ma è anche, soprattutto, un altro esempio di messa in discussione di un passato storico (come quello tedesco) pieno di contraddizioni, di zone d’ombra e lati oscuri da non dimenticare ma raccontare senza alcun tipo di autocensure o atteggiamenti di deleteria auto indulgenza.

“La scelta di Barbara” è un film molto duro, sincero e sentito, non semplice ma lodevole, arricchito da due protagonisti solo all’apparenza spettrali e monolitici, ma in realtà assai complessi e sfaccettati: in particolar modo, la bellissima e bravissima Nina Hoss è una tenace e dolente figura di donna segnata da un passato burrascoso che cerca in tutti i modi di ridare dignità alla propria esistenza. Un personaggio memorabile.

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