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Sinister: la recensione

Scott Derrickson non è certamente uno dei nomi più altisonanti per quanto riguarda il cinema horror eppure vanta una già discreta esperienza “sul campo”.

Dopo aver diretto il quinto capitolo di “Hellraiser”e riscosso un buon successo con “The exorcism of Emily Rose” e il fantascientifico “Ultimatum alla terra”, torna al cinema dell’orrore con “Sinister”. Nel cast del film troviamo Ethan Hawke e due gradite soprese come Fred Dalton Thompson e Vincent D’Onofrio (molti lo ricorderanno per il ruolo del soldato “palla di lardo” in “Full Metal Jacket”). La pellicola, uscita con il divieto per i minori di anni 18, è stata presentata al South by Southwest di Austin, lo scorso anno.

Sinister
Sinister

Trama

Ellison è uno scrittore divenuto celebre grazie al bestseller Kentucky Blood ma successivamente non ha riscosso i favori del pubblico cadendo nel dimenticatoio. Cercando un nuovo successo si trasferisce in una piccola cittadina della Pennsylvania dove dodici mesi prima si è consumato un terribile fatto di cronaca: l’assassinio, per impiccagione, della famiglia Stevenson. Convinto di aver trovato la storia giusta scoverà nella soffitta della casa alcuni filmini in super8 in cui sono registrate le immagini dell’omicidio. Ben presto Ellison capirà di aver sottovalutato l’influsso maligno della casa e diversi ed agghiaccianti fatti sconvolgeranno la vita dello scrittore e quella della sua famiglia.

Giudizio

“Sinister” conferma il buon momento del cinema horror capace di attirare grandi attori (ricordiamo la partecipazione della nominata agli Oscar Jessica Chastain in “La madre”) ritrovando una dimensione probabilmente smarrita a causa di un circolo referenziale decisamente abusato, tra remake, reboot e versione stereoscopiche. “Sinister” “approfitta” del genere, tra ombre, rumori e improvvise apparizioni, cercando allo stesso tempo una propria autonomia. Eppure sembrerebbero esserci tutti gli estremi per gridare al già visto. Dallo scrittore di genere (basti pensare al recente “1408” o al più stagionato “Secret Window”) alla casa abitata da ectoplasmiche presenze e teatro di efferati omicidi (una trama già sviluppata, tra le altre, dalla serie “American Horror”) alla presenza di bambini in grado di avvertire il maligno ben prima degli adulti (e anche qui gli esempi non mancherebbero dal classico “Poltergeist” al più recente Non avere paura del buio e La madre). Allora cosa rende Sinister un buon film? Iniziamo dalla presenza di Hawke. L’attore texano dimostra di sapersi ben destreggiare nel ruolo dello scrittore in crisi anche se a volte da l’impressione di andare a tre cilindri rischiando di essere prevedibile. Continuiamo con la infestata magione che viene rappresentata nel più classico dei modi  risultando, però, decisamente spaventosa, per concludere con quelle che appaiono come le due più brillanti intuizioni: gli omicidi raccolti in vecchi super8, che regalano un piacevole sapore vintage alla pellicola, e il binomio tra horror e occulto con tanto di videoconferenze nel quale Ellison colloquia con un esperto del settore  sul significato di alcuni simboli. Non volendo rovinarvi la sopresa vi diciamo che entrambe le componenti sono fondamentali per lo sviluppo della storia.

Un difetto, non trascurabile, è invece sul tempo speso in “sala d’attesa”. Anche qui la pellicola rispetta il canovaccio tipico da cinema dell’orrore con una introduzione dilatata “aspettando  Godot” che, almeno questa volta, arriva, anche se sotto altre spoglie.

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