La furia degli Avengers è passata lasciando segni ben visibili e altri decisamente meno. Ne sa qualcosa Tony Stark (Robert Downey Jr.) che dall’episodio newyorchese, dove si è trovato a combattere fianco a fianco con altri supereroi, ha perso parte della sua sfrontatezza, della sua piaciona arroganza e inscalfibile sicurezza in sé. Dorme male la notte Stark, quando riesce a dormire, ed è soggetto a insoliti quanto violenti attacchi di panico. Come se tutto ciò non bastasse, si affaccia all’orizzonte uno spietato e sanguinario terrorista, il Mandarino (Ben Kingsley), un sadico guru che intende mettere in ginocchio gli Stati Uniti e il suo presidente, minacciando morte e distruzione.
Il Mandarino può contare sui servigi del dottor Aldrich Killian (Guy Pearce), un fisico che ha studiato un progetto di potenziamento energetico (basato sulla manipolazione delle cellule celebrali) del corpo umano chiamato Extremis. Le strade di Stark e Killian si erano già incrociate nel 1999, ma Tony aveva trattato con supponenza e scarso rispetto il suo collega, all’epoca maldestro e infermo e ora aitante e carismatico.
Con l’aiuto dell’ex segretaria, ormai fidanzata fissa, Pepper Potts (Gwyneth Paltrow), dell’amico generale James Rhodes alias War Machine (Don Cheadle), di un ragazzino sveglio e logorroico (Ty Simpkins) e di una vecchia fiamma del passato, la biologa Maya Hansen (Rebecca Hall), Stark si trova a dover fronteggiare questa nuova oscura e pericolosa minaccia, pronta a riservare diverse sorprese.
Dopo lo straordinario successo di “The Avengers”, con “Iron Man 3” si apre, di fatto, la fase 2 dell’universo cinematografico Marvel. Ma se il buongiorno si vede dal mattino, questa seconda fase marveliana è destinata a ridimensionare (e di molto) attese e speranze dei fan, quanto meno di quelli più ortodossi e fideisticamente legati ad una concezione più fumettistica, quindi più letterariamente composita, dell’universo supereroistico.
In “Iron Man 3”, infatti, il tasso di spettacolarità è inversamente proporzionale alla sua complessità e ricchezza narrativa. Esplosioni, gag, scontri fisici e verbali, strizzatine d’occhio e ammiccamenti divertiti derubricano quasi completamente qualsiasi ambizione altra rispetto al semplice intrattenimento di buona fattura ma estemporaneo, privo di sostanza e coraggio.
Benchè le premesse per fare di “Iron Man 3” un blockbuster divertente e intelligente, capace di commistionare l’entertainment puro con un respiro epico e sottotesti narrativi non banali, ci siano tutte, il film di Shane Black (non a caso sceneggiatore di “Arma Letale” e “L’ultimo boyscout”) punta quasi esclusivamente sulla componente action, sacrificando l’introspezione psicologica, ridimensionandola a mero pretesto narrativo, gettato nella mischia senza troppa convinzione.
La sicumera di Stark è scalfita, l’eroe inizia a interrogarsi su sé stesso, il suo lato più umano, quindi più fallibile, inizia ad emergere e il miliardario con l’hobby di salvare il mondo sembra pronto a confrontarsi con i meandri più oscuri della propria coscienza; ma il tutto è risolto in maniera sommaria, quasi a non voler togliere eccessiva spazio all’ipertrofico (e a tratti ridondante) carrozzone di azione e humour. Azione e humour che stavolta (come del resto nel secondo episodio della saga) non sempre si spalleggiano in maniera costruttiva, anzi in alcuni frangenti l’ironia di Tony Stark sembra quasi fuori luogo, forzata e poco spontanea, per questo meno convincente.
“Iron Man 3” risente di una scrittura che delega fin troppo alla dimensione più spettacolare e ludica, incurante invece di creare caratteri e situazioni realmente interessanti e con cui si possa entrare davvero in empatia.
Sacrificati i fatal flaws dell’eroe, sacrificate le due figure femminili (soprattutto Rebecca Hall), sacrificati perfino i due villain (uno dei quali ci regala un twist narrativo piuttosto grossolano), di “Iron Man 3” restano alcune sequenze spettacolari, qualche buona battuta che va a segno, un protagonista sempre più gigione ma comunque simpatico, un’epica fin troppo cartoonistica e un gigantismo visivo (con tanto di ennesima, inutile, riconversione in 3D) tanto roboante quanto vuoto.
Poco, davvero troppo poco per un blockbuster da cui era lecito aspettarsi (molto) di più.
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