È stato attribuito al regista statunitense William Friedkin il Leone d’oro alla carriera della 70. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (28 agosto – 7 settembre 2013). La decisione è stata presa dal Cda della Biennale presieduto da Paolo Baratta, su proposta del Direttore della Mostra del Cinema Alberto Barbera.
Nella presentazione al Cda della proposta di Leone d’oro alla carriera, Alberto Barbera scrive che William Friedkin “ha contribuito, in maniera rilevante e non sempre riconosciuta nella sua portata rivoluzionaria, a quel profondo rinnovamento del cinema americano, genericamente registrato dalle cronache dell’epoca come la Nuova Hollywood. Dopo aver scardinato le regole del documentario con alcuni lavori televisivi impostisi per lo sguardo asciutto, spietato e imprevedibile, Friedkin ha rivoluzionato poi due generi popolari come il poliziesco e l’horror, inventando di fatto il blockbuster moderno con Il braccio violento della legge (1971,premiato con cinque Oscar, tra cui miglior film e miglior regia) e L’esorcista (1973, nominato a dieci Oscar). È stato poi autore di film in anticipo sui tempi come Il salario della paura (Sorcerer, 1977), Cruising (1980), Vivere e morire a Los Angeles (1985) e Jade (1995, presentato alla Mostra di Venezia in Notti veneziane), alcuni dei quali solo in seguito ampiamente rivalutati come autentici capolavori”.
William Friedkin ha ottenuto di recente un grande successo di critica e pubblico alla Mostra di Venezia 2011 con “Killer Joe”, presentato in Concorso.
“Venezia, specialmente durante la Mostra, è una casa spirituale per me – ha dichiarato William Friedkin –. Il Leone d’oro alla carriera è qualcosa che non mi sarei mai aspettato, ma sono onorato di accettarlo con gratitudine e amore”.
William Friedkin riceverà il riconoscimento durante la 70. Mostra di Venezia (28 agosto – 7 settembre 2013), dove presenterà il restauro de “Il salario della paura” (Sorcerer, 1977), appositamente realizzato dalla Warner Bros.
Approccio originale a “Vite vendute” (Wages of Fear) di Henri-Georges Clouzot (anch’esso adattamento del romanzo di Georges Arnaud scritto nel 1950), “Il salario della paura” sposta gli immancabili scenari urbani di Friedkin nella profondità della giungla sudamericana, dove la passione del regista per il realismo, e il suo inappuntabile istinto per la suspense, convergono con magistrale effetto nella leggendaria, angosciante scena dell’attraversamento del ponte.
Produzione già difficile di per sé, “Il salario della paura” è stato un film molto discusso quando uscì (una settimana dopo “Guerre stellari” di George Lucas). Da allora è diventato uno dei titoli di Friedkin più acclamati dalla critica e uno dei meno facili da riuscire ad ammirare sul grande schermo.
“Considero Il salario della paura il mio film più personale e il più difficile da realizzare – ha dichiarato Friedkin -. Sapere che sta per avere una nuova vita al cinema, è qualcosa di cui sono profondamente riconoscente. Il fatto poi che il film abbia la sua prima mondiale alla Mostra di Venezia, è qualcosa che attendo con grande gioia. È una vera resurrezione di Lazzaro”.
Il restauro de “Il salario della paura” da parte della Warner Bros. è cominciato con una scansione in 4K del negativo originale in 35mm. Il progetto di restauro è stato completato sotto la guida di William Friedkin assieme al colorista Bryan McMahan, che ha lavorato con Friedkin sin dal 1994, e a Ned Price della Warner Bros., che supervisiona i progetti di restauro per lo Studio. “Ero stupefatto della brillantezza della fotografia originale – ha dichiarato Ned Price –. Finora avevo visionato solo copie cinematografiche in 35mm di bassa qualità provenienti da duplicati negativi con sottotitoli. Avendo lavorato con il negativo originale, si permetterà finalmente al pubblico di apprezzare l’impatto visivo di questo film”.
Nella motivazione del premio, Alberto Barbera scrive inoltre che Friedkin ha manifestato negli anni “una fedeltà rischiosa ai propri ideali che, allontanandolo dal centro del cinema hollywoodiano, lo ha spinto a cercare nel cinema indipendente quella libertà necessaria a perseguire la ricerca di un linguaggio fatto di spiazzamenti continui, di istinto visivo folgorante, visionario, allucinatorio, eppure insaziabilmente affamato di realtà anche quando sembra perdersi nel delirio cinetico, astratto e perfezionistico delle prepotenti sequenze d’azione e d’inseguimento che caratterizzano la sua opera in maniera emblematica. William Friedkin rappresenta ancora oggi l’esempio di un cinema esigente, intellettualmente onesto, emotivamente intenso, programmaticamente avventuroso ed erratico: un antidoto potente e generoso al crescente livellamento del cinema contemporaneo”.
È stata pubblicata da pochi giorni negli Stati Uniti la sua autobiografia, “The Friedkin Connection”, che Bompiani sta traducendo in italiano e che presenterà a Venezia in anteprima.