Sono passati due anni da Bangkok, Phil (Bradley Cooper), Stu (Ed Helms) e Doug (Justin Bartha) vivono tranquilli e senza particolari eventi che scuotano le loro esistenze. Le ultime notizie che hanno avuto di quello che provocava i disastri, Leslie Chow (Ken Jeong), sono che è rinchiuso in qualche oscura prigione tailandese e con lui fuori dalla scatole, gli altri ragazzi del gruppo hanno abbandonato le notti folli di Las Vegas, i rapimenti, le sparatorie e gli inseguimenti di narcotrafficanti. L’unico scontento del “branco” è Alan (Zach Galifianakis) che ancora non ha trovato un senso alla propria vita, ha abbandonato le sue medicine e ha dato libero sfogo a tutti i suoi peggiori impulsi, fino a che la morte del padre e una seguente crisi non lo costringono a cercare l’aiuto dei suoi più cari amici.
Phil, Stu e Doug si offrono di accompagnare Alan in un centro di cura psichiatrica in Arizona, ma i loro piani vengono scombinati da una serie inattesa di situazioni che li porterà a tornare nel luogo dove tutte le loro disavventure sono iniziate: Las Vegas.
Già nel suo secondo episodio la saga del Wolfpack sui generis aveva iniziato ad evidenziare segni di stanchezza. Ora, con “Una notte da leoni 3”, la fiacca si fa sentire ancora di più, rasentando l’indolenza: la freschezza, l’originalità, la follia comica del primo episodio sono un pallido ricordo che nemmeno saltuariamente fa capolino in questo terzo film della serie.
Rinnegando la struttura narrativa a ritroso dei primi capitoli (il risveglio dopo l’hanghover e il ricostruire gli eventi della sera precedente, brancolando nel buio), “Una notte da leoni 3” segue un percorso lineare e canonico, istituzionalizzandosi sia nella forma che (soprattutto) nella sostanza.
Il film di Todd Phillips, infatti, tradisce lo spirito dei suoi precedenti ma non per tentare nuove strade, al contrario per appianarsi stancamente sul modello delle commedie alla Judd Apatow: politicamente scorrette solo superficialmente e dal conservatorismo latente (ma nemmeno troppo).
La crescita umana del “branco” (seppur misera e decisamente secondaria nell’economia della storia) va verso una “normalizzazione” francamente deludente viste le premesse dei primi due film. L’immaturità, la spensieratezza, l’improvvisazione, la capacità di barcamenarsi e ritrovarsi nelle più improbabili situazioni: tutti elementi di cui non c’è traccia in “Una notte da leoni 3”. Il tutto è ridotto ad una sequela di banali gag sfiatate e di volgarità buttate a caso, corredate da una sorprendente mancanza dei più basilari tempi e ritmi comici.
Anche i due personaggi più eccentrici della sgangherata combriccola, Alan e Mr. Chow, paiono completamente svuotati, privi di forza e interesse, crogiolanti nelle proprie stramberie ormai prevedibili e noiosamente reiterate.
Zach Galifianakis è ormai derubricato a macchietta, imprigionato in un personaggio ripetitivo e snervante nella sua posticcia idiozia, mentre Ken Jeong è, ancora una volta, penalizzato da un doppiaggio pessimo ma anche da un ruolo asfittico e anche qui fastidiosamente sempre uguale a sé stesso. Bradley Cooper, Ed Helms e Justin Bartha si vedono ridotti a comparse, o poco più, mentre deludono le new entry John Goodman e Melissa McCarthy e il ritorno di Heather Graham è un semplice cameo di pochissimi minuti.
Di tanto in tanto si ride anche in “Una notte da leoni 3”, ma la sensazione dominante è quella di trovarsi di fronte ad un prodotto inerme, arrancante per forza d’inerzia, confezionato a tavolino senza convinzione, privo di ispirazione e in cui la grandeur tanto strombazzata si trova solo nelle location, inversamente proporzionale alla pochezza di una comicità incapace di lasciare il segno. Un finale di saga decisamente sotto le attese e del tutto gratuito.
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