Giovanni Veronesi torna dietro la macchina da presa per raccontare una storia “italiana” lunga quarant’anni, attraverso gli occhi di un onesto lavoratore di nome Ernesto.
Rispetto agli ultimi due modesti, ed evitabili, capitoli di “Manuale d’Amore”, il regista toscano tenta di fare un passo avanti nella sua carriera, anche se appare più come un triplo salto mortale, di quelli a coefficiente altissimo. Se riusciti vinci la gara ma in caso di errore il risultato è disastroso. In questo caso possiamo dire che siamo comunque lontani dalla sufficienza.
Indubbiamente il tentativo di portare sul grande schermo una commedia più matura con personaggi tipici italiani in un contesto storico ampio è apprezzabile ma allo stesso tempo fa perdere a Veronesi i giusti tempi cinematografici relegando il suo lavoro a una banale messa in scena da piccolo schermo. Tanta, troppa, carne al fuoco dalle Brigate Rosse ai Socialisti, da Craxi a Forza Italia per finire ai tempi della crisi, alla strettissima attualità. Il tutto attraverso lo sguardo del suo Ernesto, un sempre bravo Elio Germano, degli amici e parenti di quest’ultimo, della sua fedele e tenera compagna.
L’Italia dei furbetti, delle scorciatoie, dei lavoretti arraffati o indesiderati, l’Italia che sogna una svolta politica che poi mai arriva, l’Italia dove cambiano i colori, gli abiti, le abitudini, i consumi, eppure mantiene fissa quello status quo che fa rima con l’ineluttabilità provata da chi in quello stato forse non si riconosce ma che non fa nulla per spezzare il malsano equilbrio e ricostruire dalle macerie. L’ultima ruota del carro è in fondo un film che fa riflettere alternando risate ad atteggiamenti drammatici ma senza mai trovare un equilibrio accettabile tanto da indurci a provare rabbia per la passività del protagonista. Orgogliosamente ultima ruota del carro, così come gli era stato predetto in tenera età. Lui si “accontenta” e tira avanti senza sussulti come se quel paese che osserva fosse là immobile rappresentato all’interno di una vecchia cornice.
Come detto Elio Germano risulta assolutamente credibile nel ruolo del protagonista mentre la “spalla” Rick Memphis svolge il compitino, probabilmente neanche aiutato da uno script che lo ha imprigionato ancora prima di entrare in scena, mentre risultano essere più convincenti i navigati Massimo Wertmuller e Alessandro Haber. Salviamo anche i costumi, e la ricostruzione storica, ma la pochezza dello script compromette inevitabilmente il giudizio complessivo sull’opera, davvero lontana da un ideale commedia italiana di vecchio stampo, come probabilmente Veronesi sperava.