“The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca” si prepara a fare incetta di statuette agli Oscar, ma le nomination e la possibilissima vittoria sono del tutto meritate?
Dopo “Precious” e “The Paperboy“, Lee Daniels continua sulla scia del sociale e dei diritti civili con una storia tanto scontata da accaparrarsi la lacrima con certezza in sala e per questo anche la candidatura facile: l’argomento infatti è sì delicato ma anche sdoganato quanto basta, la condizione delle persone di colore, dalle piantagioni di cotone fino alla vittoria storica di Barack Obama, il primo presidente nero negli Stati Uniti, quando fino a vent’anni prima questo sarebbe sembrato un’utopia.
Cecil a 9 anni è in una piantagione di cotone in Georgia, dove assiste allo stupro della madre (Mariah Carey) e all’assassinio del padre da parte del proprietario (Alex Pettyfer). La madre (Vanessa Redgrave) di quest’ultimo decide di prenderlo in casa in qualità di “house negro“, insegnandogli il mestiere fin dalla tenera età. Ma Cecil, stanco della vita nella piantagione e dei continui abusi, decide di andare via e di scoprire il mondo fuori, a lui totalmente ignoto. Riesce a diventare capo-cameriere nel migliore club di Washington e la sua bravura viene subito notata da un Amministratore della Casa Bianca, che gli offre un posto tra gli otto maggiordomi di fiducia. Cecil (Forest Whitaker) dovrà imparare ad essere praticamente invisibile e a non avere orecchie all’interno della Casa Bianca, nel frattempo la storia e la sua vita scorrono, il maggiordomo è sposato con Gloria (Oprah Winfrey) ed ha avuto due figli.
Cecil incarna la figura di Eugene Allen, maggiordomo alla Casa Bianca dal 1957 al 1986, che ha servito 7 Presidenti degli Stati Uniti d’America. Nel film vediamo Eisenhower (Robin Williams), Reagan (Alan Rickman), Kennedy (James Marsden), Johnson (Liev Schreiber) e Nixon (John Cusack). La storia d’America scorre tra violenze, lotte contro la segregazione razziale e figure di spicco come quella di Martin Luther King e Malcom X, l’assassinio di Kennedy, le Pantere Nere, il Ku Klux Klan, la guerra in Vietnam e tutti questi eventi coinvolgono direttamente Cecil e la sua famiglia: il figlio minore decide di lottare per la sua patria arruolandosi per la guerra dalla quale non farà mai ritorno; Charlie (David Oyelowo) invece è un attivista convinto, finisce più volte in galera, viene cacciato di casa, odia il padre e il suo lavoro, lotta per la liberazione di Mandela e viene eletto deputato. A fare le spese di questa tensione familiare è Gloria, che tenta di tenere insieme tutti i pezzi senza avere risultati concreti tra le mani, finendo nel vortice della vodka, fino a toccare il fondo per poi risollevarsi, grazie alle cure amorevoli di Cecil, che via via prende sempre più consapevolezza di quanto gli accade intorno. Confuso dagli eventi, dai discorsi dei Presidenti e dai fatti storici, oltre che dalla sua condizione familiare, il maggiordomo finisce per ritirarsi decidendo di recuperare il tempo perduto con il figlio, lottando insieme a lui per la liberazione di Mandela, fino a gioire per l’elezione di Obama, un sogno che per il popolo afroamericano sembrava irrealizzabile fino a poco tempo fa.
Lee Daniels ha confezionato un prodotto ad altissimo impatto commerciale, ma per nulla capace di osare o andare oltre: ci offre una carrellata di eventi che ricorda molto la costruzione della storia di “Forrest Gump“, dimenticando però quel pizzico di ironia e la dinamicità nei collegamenti realizzata da Robert Zemeckis. Qui scorre tutto in maniera sistematica, vediamo passare le mode attraverso gli abiti e i baffi di Charlie, vediamo scorrere il tempo dentro e fuori dalla Casa Bianca, là dove i Presidenti sono impersonati da attori che più che rendere loro giustizia, diventano delle vere e proprie caricature. “The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca“, in sè non meriterebbe sicuramente di arrivare a vincere qualche statuetta. O, al massimo, a meritarsi un premio è la splendida interpretazione di Forest Whitaker, che però per la lunga durata della pellicola finisce per risultare poco naturale, perché sempre razionale, perfino nelle sue arrabbiature, sempre pacato e in grado di dire la parola giusta al momento giusto; ottima anche l’interpretazione di Oprah Winfrey, che ricordiamo ne “Il colore viola” tanto per restare in tema e che probabilmente il suo premio a casa se lo porterà, non tanto perché la sua sia la più straordinaria delle performance candidate, ma per il peso che ha nel mondo dello showbusiness statunitense. Dopotutto è la donna più potente al mondo, Forbes docet. Nel complesso Lee Daniels ci regala una carrellata di eventi storici raccontati in maniera banale e scontata, alcuni affrontati anche con stile rapido e superficiale, cercando di farli coincidere tutti all’interno di una sola famiglia che, tra soddisfazioni, frustrazioni, alti e bassi sentimentali, ascesa e declino, finisce per diventare un grande stereotipo che racconta il riscatto degli afroamericani dopo il loro tremendo passato, senza mai condannare apertamente i bianchi che per secoli li hanno seviziati.