Wim Wenders è tornato in sala con “Il sale della terra” e il pubblico italiano ha apprezzato il suo ultimo lavoro, un documentario che racconta il mondo del fotografo Sebastiao Salgado.
Quasi 110mila euro di incasso, un grande risultato per un documentario con 37 copie in totale distribuite sul territorio, riuscendo a piazzarsi alla seconda posizione del box office dopo essersi scontrato con un film del calibro di “Guardiani della Galassia“. Presentato in anteprima italiana al Festival del Film di Roma, “Il sale della terra” ha avuto grande successo anche a Cannes e anche noi lo abbiamo apprezzato moltissimo, ve ne abbiamo parlato nella nostra recensione. Qui sotto trovate la sinossi:
Da quarant’anni Salgado attraversa i continenti sulle tracce di un’umanità in pieno cambiamento e di un pianeta che a questo cambiamento resiste. Dopo aver testimoniato alcuni tra i fatti più sconvolgenti della nostra storia contemporanea – conflitti internazionali, carestie, migrazioni di massa – si lancia adesso alla scoperta di territori inesplorati e grandiosi, per incontrare la fauna e la flora selvagge in un grande progetto fotografico, omaggio alla bellezza del pianeta che abitiamo. La sua vita e il suo lavoro ci vengono rivelati dallo sguardo del figlio Juliano Ribeiro Salgado, che l’ha accompagnato nei suoi ultimi viaggi, e da quello di Wenders, fotografo egli stesso.
Wim Wenders ha spiegato perché ha voluto girare questo film e dedicarlo a una figura importante come quella di Salgado:
Dall’inizio ci è sembrato essenziale tenere in considerazione il fatto che i Salgado hanno un’altra vita accanto alla fotografia: il loro impegno a favore dell’ecologia. Sapevo che era necessario raccontare due storie parallele. Si può dire che l’opera di rimboschimento che hanno messo in atto in Brasile e i risultati quasi miracolosi che hanno ottenuto, siano una specie di “happy end” per Sebastião, dopo tutta la disperazione di cui è stato testimone e la depressione in cui è precipitato al ritorno dall’ultimo viaggio in Rwanda. Salgado non ha soltanto consacrato Genesis, la sua ultima monumentale opera, alla natura, ma è proprio la natura ad avergli permesso di non perdere la sua fede nell’uomo.