Salve.
Ho 49 anni, faccio lo psicanalista e sono depresso.
Questa la battuta con cui Marcello (Claudio Bisio) apre le danze di Confusi e Felici, terzo lungometraggio di Massimiliano Bruno (Nessuno mi può giudicare, Viva l’Italia), dal 30 settembre al cinema.
Colpito nel corpo e soprattutto nello spirito da un progressivo abbassamento della vista, Marcello, uno psicanalista freudiano cinico e cialtrone, decide all’improvviso di mollare studio e segretaria (Anna Foglietta), senza curarsi del destino dei molti clienti che da tempo segue.
Peccato che questi a differenza del loro mentore non abbiano alcuna intenzione di darla vinta alla malattia e arrendersi.
Rendendo onore al titolo originariamente pensato da Bruno e Falcone per il film, Tutti per uno, uno spacciatore affetto da attacchi di panico (Marco Giallini), un quarantenne mammone (interpretato dal regista stesso), una coppia in crisi sessuale (Pietro Sermonti e Caterina Guzzanti) e una ninfomane (Paola Minaccioni), cercano in ogni modo di mostrare a Marcello quella bellezza per cui non aveva ancora avuto occhi, creando una bizzarra combriccola di amici che affrontano i loro problemi semplicemente frequentandosi.
Così riassunta la trama potrebbe sembrare quella d’un dramma.
Si tratta invece di una commedia in cui il divertimento e la leggerezza si fanno carico di tragedie umane e tematiche universali.
La malattia e il disagio psichico vengono sdoganati da qualsiasi timore reverenziale secondo il grande insegnamento —ora obliato dalla risata volgare d’una folla di popcorn-film— dei grandi maestri della commedia degli scorsi decenni, autori di pellicole in cui l’ironia e la comicità non sono tanto mezzi fini a se stessi, quanto piuttosto veicoli originali in grado di sdrammatizzare e farci giungere arrivare un certo messaggio.
Non a caso lo stesso regista ha paragonato —con indubbia tracotanza— l’intento da lui perseguito in Confusi e Felici, a quello che animava grandi cineasti della vecchia commedia all’italiana —ahimè, quanta nostalgia— come Scola o Risi, in grado di farci ridere se pur quasi al limite del politicamente scorretto.
La pellicola saluta ed onora i bei tempi andati anche grazie solo nella scelta dei nomi: Marcello e Silvia una sera si trovano seduti davanti alla fontana di Trevi e si rendono conto di avere gli stessi nomi di Mastroianni e della Ekberg nella Dolce Vita…
Forse l’ultima pellicola di Bruno non è degna di citare il capolavoro felliniano ma gli va sicuramente riconosciuto il merito di risvegliarci dal sonno — cinematografico e non — in cui siamo caduti, facendoci uscire dalla sala confusi e perplessi.
Non felici ma almeno consapevoli di quello che la commedia italiana ci ha regalato e potrebbe continuare a fare.