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Addio al linguaggio: la recensione

Chi manca di immaginazione
Si rifugia
Nella realtà.

Signori e signore L’Enfant Terrible è tornato.
È da quando, nel lontano 1959, Jean-Luc Godard firmò il manifesto della nouvelle vague, che la critica cerca di rispondere alla domanda: che cosa ci sta dicendo? Cosa significano le sue opere?

Sebbene tutto e il suo contrario sia stato detto circa Addio al linguaggio, trentanovesimo lungometraggio di Godard, saremo d’accordo nel riconoscere che anche quest’opera è caratterizzata da quella destrutturazione della tradizionale narrazione filmica che da sempre regge le fila del discorso.

Come egli stesso disse durante un’intervista rilasciata in occasione della 67ª edizione del Festival di Cannes, in cui vinse vinto la Palma d’Oro ex aequo con Mommy di Xavier Dolan, la storia è semplice: ci sono un uomo (Kamel Abdeli) e una donna (Héloise Godet) e mentre loro stanno litigando compare un cane che ristabilirà il loro equilibrio.
A dispetto di quel che l’età potrebbe lasciar pensare — compirà 84 anni il prossimo dicembre —, Godard ha il coraggio di buttarsi in territori sconosciuti ai ribelli e ai più coraggiosi di Hollywood: un’inedita libertà espressiva è protagonista di scene complesse e contraddittorie in cui l’inessenziale e la parola sono centrali.

Fin dalla prima scena il 3D fa la sua comparsa in blocchi di lettere rosse che schiacciano la gracile 2D, ma d’altronde monsieur Godard non si è quasi mai lasciato sfuggire l’opportunità di utilizzare il film come strumento grazie a cui giocare con la percezione degli spettatori tanto con la scelta del soggetto quanto con la tecnica —e in Addio al linguaggio— entrambe le condizioni sono pienamente soddisfatte —.
Non a caso recentemente Steven Soderberg disse sul New York Time che non c’è nulla di interessante che stia accadendo ora che egli non abbia sperimentato per primo.
Ricco di immagini abbaglianti che ci pare di poter toccare e vedere in modo diverso a seconda dell’occhio con cui guardiamo o della profondità di sguardo, il 3D di Addio al linguaggio è quasi fin troppo “sobrio” se ricordiamo che solo quattro anni fa per Film Socialisme le riprese vennero effettuate persino con un IPhone.

Quando sono uscita dal cinema mi sono divertita a sentire i commenti del pubblico in sala e posso assicurarvi signori, che se qualcuno fosse passato di lì all’improvviso, beh, non avrebbe mai sospettato che avevamo tutti visto lo stesso identico film.
Gli indiani Apache della tribù dei Chikawa chiamano il mondo: la foresta.
Questa una delle frasi con cui l’opera comincia e che in un certo senso la spiega. Ecco perché non avrebbe senso parlare ancora molto, sarebbe solo il mio parere, quando invece ora più che mai Godard esige che lo spettatore, sappia guardare ciò che c’è fuori come fa l’animale che non è oscurato dalla conoscenza.
Un film spirituale, il testamento forse di tutta la cinematografia di uno dei più grandi registi di sempre. Un’opera che, lontanamente da quanto il titolo suggerisce, vuole dar adito al dialogo fra i commoners, la gente comune, come Godard ebbe a dire nella già citata intervista.
A noi la parola.

IL NOSTRO PARERE IN BREVE

Testamento spirituale di Godard - Viaggio in 3D visionario e immaginifico.

PANORAMICA RECENSIONE

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