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La conferenza stampa di “Scusate se esisto!”: foto

Se a dire che l’abito non fa il monaco è Raoul Bova.

Scusate se esisto!“, nelle sale dal 20 novembre, é stato presentato dal suo scoppiettante cast Lunedì 17 novembre a Milano nella suggestiva location di terrazza Martini.

Quale è stata la genesi del film?

Cortellesi: Senza dubbio lo stimolo principale ė stato la voglia di guardarci attorno, leggere il giornale ogni mattina, osservare ciò che ci circonda. Mi sono impegnata assieme a mio marito nella stesura del soggetto e della sceneggiatura e mi sono quindi auto-scelta nel ruolo della protagonista. Le cose poi,vengono da sole, la composizione del cast è stata praticamente immediata…

Quale è il tuo rapporto con Serena Bruno, personaggio che interpreti?

Cortellesi: Il mio rapporto col personaggio di Laura è molto importante e credo ci sia anche qualche spunto autobiografico. Laura finge di essere la segretaria di un famoso architetto: d’altronde è più facile credere che una donna sia la segretaria di un architetto importante piuttosto che lei stessa un professionista. Uno dei lati buoni del rapporto tra il mio personaggio e quello di Raoul è che non si innamorano: lei scoprirà presto che lui ha un altro orientamento sessuale. Ciò su cui volevamo puntare nella sceneggiatura era un amore condiviso da due persone che non necessariamente condividono lo stesso orientamento sessuale ma però si amano…una coppia di fatto insomma. Un amore inusuale.

Il film parla di molti argomenti: si da importanza alla questione della donna ma ma anche al ruolo dell’uomo e della sua sessualità. Da quando il film è uscito e ho letto le prime critiche mi pare che tutti abbiano notato maggiormente il discorso relativo alla donna che si deve fingere un uomo per avere successo…per quale motivo secondo lei il tema dell’omosessualità non è stato carpito?

Cortellesi: Il problema del personaggio di Raoul è comunicare la sua omosessualità al figlio, nel film si tenta di non creargli dei piccoli traumi per esempio fingendoci, ai suoi occhi, una coppietta perfetta.

Bova: quella che questa domanda pone è una riflessione giusta, anche io vedo che sta venendo fuori prevalentemente la componente femminile delle tematiche che proponiamo…ma questo è problema di voi critici e di quello che cogliete!

Raoul, quanto è stato complicato interpretare una parte così delicata?

Bova: ero sicuro fin dall’inizio del risultato finale, ho già lavorato con Paola pochi anni fa in Nessuno mi può giudicare e nutro molta stima per Riccardo Milano. La commedia oggi in Italia funziona, ha la possibilità di essere vista da un grande pubblico anche trattando temi molto importanti come questo. Confesso però che il mio personaggio mi ha affascinato non perché abbia considerato il fatto dell’omosessualità. Stimavo molto più importante il discorso dell’apparire, del mostrare quello che si è: così fa il mio personaggio gay e con questo problema si trova a convivere. Il personaggio di Paola col suo lavoro ha molto a che vedere col problema del giudizio e col timore di non essere accettati, di perdere la stima e l’affetto delle persone care… sono problemi che ci riguardano tutti. È un discorso molto ampio che parte anche dal rapporto che abbiamo con i nostri genitori: per farli felici siamo disposti a fare tutto, fino a quando arriviamo ad un punto di non ritorno in cui la nostra vera personalità ha bisogno di mostrarsi. Siamo spesso costretti ad etichette e ruoli nella nostra vita, ma non è detto che dobbiamo ingabbiarci da soli. Col rispetto possiamo trovare noi stessi e la nostra personalità. Ho amato vedere affrontato questo in un film del genere, come mostra il rapporto con mio figlio. Ci facciamo tanti problemi rispetto agli altri quando in realtà la gente ci vorrebbe bene anche con molti difetti.

Avete girato in un noto edificio di Roma, il Corviale, quali sono state le vostre difficoltà?

Milani: sia io che mia moglie abbiamo avuto un percorso di formazione basato sulla vita di periferia. Il Corviale, lungo chilometro di cemento, è un’esperienza architettonica e sociale difficile. I ragazzi che hanno partecipato al film abitano realmente lí. Per noi è stato fondamentale prendere la periferia e costruirci attorno un racconto, l’abbiamo resa centro del film. Serena fa l’architetto perché ha ancora una visione etica del mondo molto forte, pensa che costruendo case belle si possano avere persone migliori…vuole rendere possibile una bellezza che non sia fine a se stessa. Ci premeva parlare dei pochi servizi che le periferie offrono e dei disagi si vanno accumulando.

Avete scelto il mezzo della commedia degli equivoci per parlare della nostra Italia?

Milani: soffro terribilmente quando sento chi parla male dell’Italia e chi ha invece l’accettazione in tasca nei confronti dei politici, uscendosene con frasi come “io al posto suo farei, direi…”. Credo che questo atteggiamento sia sintomatico di una certa mediocrità e immaturità: parlare con supposta competenza di ciò che in realtà non conosciamo è segno di grande presunzione ed è uno dei mali di cui il nostro paese soffre. Personalmente non ho mai avuto il “miraggio dall’estero. Con questo non voglio nascondere le difficoltà che abbiamo qui ora, ma sarebbe sbagliato nascondere ciò che di buono e di bello qui in Italia c’è. Ecco cosa si significa per me la commedia: raccontare il paese.

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