Che cosa si ottiene quando ci si piega alle leggi del Dio Denaro e si spezza un libro in due?
Da un punto di visto cinematografico non molto di buono — salvo prevedibili rigonfiamenti nelle tasche dei produttori — come questa prima metà del terzo episodio di Hunger Games mostra.
Se pensiamo che gli episodi precedenti hanno ottenuto più di due 1,5 miliardi di dollari ai botteghini di tutto il mondo sarà forse più facile comprendere la logica sottesa alla scelta del regista Francis Lawrence e degli sceneggiatori Peter Craig e Danny Strong.
D’altronde questa strategia non è certo rivoluzionaria, ma pare invece essere stata creata ad hoc per i film cult degli adolescenti: da Twilight a Harry Potter, Hunger Games non poteva certo tirarsi indietro dal fascino discreto del rompere l’unità filmica.
Dopo il primo The Hunger Games e il successivo La ragazza di fuoco, Il canto della rivolta — a detta di molti il più debole della fortunata trilogia di Suzanne Collins— è stato adattato in una puntata da dimenticare che non riesce assolutamente ad avere senso se svincolato dai precedenti episodi. Utile forse solo per chi soffre di insonnia da addormentamento.
Ma andiamo con ordine e torniamo a dove La ragazza di fuoco ci aveva lasciato.
L’eroina della saga e idolo della città di Panem, Katniss Everdeen (Jennifer Lawrence) dopo aver distrutto per sempre i giochi si ritrova nel bunker segreto del leggendario Distretto 13. L’accompagneranno per tutto il tempo le sue guide-mentori spirituali: Plutarch (Philip Seymour Hoffman nella sua ultima splendida interpretazione) e la presidente Alma Coin (una tagliente Julianne Moore dai capelli argentati). La maggior parte dei distretti sono in rivolta e solo un capo carismatico potrà riuscire a ristabilire l’ordine.
Indovino indovinello, a chi toccherà mai questo onere?
Tenetevi comunque l’entusiasmo da parte e armatevi piuttosto di santa pazienza: di battaglia non c’è neppure l’ombra in questo episodio di rara lentezza.
Ovvero, se avete voglia di passare due ore e mezzo in compagnia dei vostri personaggi preferiti di Hunger Games facendo loro visita in questa sorta di “area di sosta narrativa” questo film fa per voi, ma scordatevi duelli apocalittici o momenti di eccitazione adrenalinica.
Certo la soluzione del dimezzare l’episodio non ha mai portato con se’ grandi risultati in termini di emozione e suspense, basti ricordare che in occasione dell’uscita del penultimo Twilight il TIME intitolò il pezzo “Breaking Yawn part 1“.
A peggiorare la prevedibilità della trama e la stasi in cui l’azione è avviluppata, nella prima scena del film la bella Jessica Lawrence rivela più o meno tutti i futuri —piccoli— avvenimenti.
Peeta (Josh Hutcherson) è tenuto prigioniero dal nemico e sfruttato suo malgrado come volto del potere, Finnick (Sam Claflin) soffre di un blocco emotivo nei confronti della bella Katniss mentre ancora disperatamente aspetta la sua amata Annie e Gale (Liam Hemsworth) non si capisce ben che gioco stia giocando.
Katniss, da parte sua passa la maggior parte del tempo svolgendo i suoi doveri come simbolico Mockingjay —e la cosa pare non entusiasmarla molto, dato che figura dalla prima all’ultima scena con lo stesso identico visino perplesso— e protagonista di video di propaganda per intimidire il presidente Snow (Donald Sutherland) e intimidire le truppe poi. Con il grande climax ancora a venire, la posta in gioco è davvero bassa. Anche quando il Distretto 13 è sotto attacco e Katniss, la sorella minore Prim e Gale quasi rimangono intrappolati, è quasi impossibile emozionarci.
Almeno la colonna sonora offre una pausa rinfrescante dalla monotonia e pesantezza della strategia e della politica informatica che dominano il film. Benvenuta la scena, per così dire, originale, in cui Katniss canta un grido di battaglia esteso…. Che i produttori tirino fuori dal cilindro un musical per il prossimo episodio?