Phoenix, distribuito in Italia come Il segreto del suo volto —cambiamento di titolo assolutamente non necessario—, è probabilmente uno dei migliori film sul difficile tema del ritorno alla quotidianità dei sopravvissuti all’Olocausto.
Nelly, meravigliosamente interpretata da Nina Hoss —alla sua quarta collaborazione con Christian Petzold—, è una donna ebrea reduce dei campi di concentramento, da cui è uscita con evidenti ferite di arma da fuoco sul volto che ne hanno irrimediabilmente compromesso l’immagine.
Una volta fatto ritorno a casa si muove alla ricerca di Johnny, il marito (Ronald Zehrfeld) che pare l’abbia tradita consegnandola ai nazisti, ma scoprirà presto che egli non la riconosce.
È questo l’inizio di un eccitante gioco di seduzione e falsità in cui Nelly dovrà mentire per arrivare a scoprire la verità e avere delle risposte che forse sarebbe meglio non conoscere mai.
Il segreto del suo volto inizia con uno scenario mostruoso. Subito dopo la fine della guerra, una lussuosa macchina è fermata al confine tedesco da soldati americani.
Alla guida Lena (Nina Kunzendorf), un’impiegata ebrea miracolosamente scampata alle persecuzioni, è affiancata da un’esile figura, col volto coperto da bende sporche di sangue.
I soldati insistono per vedere il viso del passeggero…parrebbe l’inizio di un trash movie ma per fortuna la pudicizia e il rispetto che caratterizzano le scelte registiche di Petzold impediscono risvolti grotteschi nella narrazione. Il passeggero è Nelly, diretta a Berlino per sottoporsi a un’operazione di chirurgia plastica. Ricostruire il suo volto tale quale era prima ė impossibile, mentre, come il medico suggerisce, un’immagine nuova potrebbe aiutarla a iniziare da capo, evitandole di essere riconosciuta ed etichettata a vita come “la sopravvissuta”.
Questa premessa è una bella metafora del cambiamento che gli ebrei che ritornarono in Germania dovettero accettare per essere di nuovo accolti.
Quando la donna si muove alla ricerca di Johnny egli non la riconosce, ma ritrova in lei un’ombra, qualcosa che, in un certo qual modo, gli ricorda la ex moglie. Questa somiglianza gli suggerisce una macabra idea che non tarderà a proporre alla malcapitata: impersonare la moglie e dividere a metà la cospicua somma di denaro che questa avrebbe ereditato dal resto della famiglia sterminata.
Catturata dalle sue attenzioni e credendo che questo possa essere l’unico modo per impossessarsi dell’identità perduta, la donna accetta di buon grado di interpretare il ruolo della defunta Nelly. Come un ottimo regista, Johnny si preoccupa di far assomigliare la sconosciuta alla moglie in ogni minimo dettaglio, dalla grafia alla camminata, dal trucco al vestiario.
L’agilità interpretativa della Hoss, chiamata a coprire il ruolo di un personaggio che finge di essere la persona che non è più ma vorrebbe essere, è strabiliante.
Certo, alcuni aspetti della storia, per quanto affascinante, appaiono lacunosi e poco definiti. Mancano informazioni sul passato di coppia dei due, totalmente inindagato, o sul background di Lena, coscienza critica di Nelly, forse portavoce delle idee del regista stesso.
Tuttavia, nell’organicità complessiva della narrazione questi elementi paiono assolutamente secondari, e l’attenzione si concentra prevalentemente attorno a interrogativi che, con l’avanzare della vicenda, diventano sempre più cogenti: davvero Johnny non riconoscerà che quella sconosciuta altri non è che la moglie? Nelly sarà in grado di continuare a giustificare il tradimento del marito?
Gli interrogativi che ostacolano il quieto fluire della narrazione, sembrano porsi quali allegoria delle storie che i popoli e le nazioni si raccontano per sopravvivere.
Decisivo in questo senso è l’uso della musica, in particolare nella performance finale della protagonista, che, tornando a cantare dopo anni, libera la sua ritrovata identità sulle note di Speak Low, canzone che tiene assieme eloquentemente i vari temi del film, ma senza lasciare nello spettatore alcun confortevole senso di soluzione.