Appena arrivato nelle sale, “Automata” è il nuovo film dello spagnolo Gabe Ibáñez che porta al cinema robot e fantascienza in un mondo pre-apocalittico senza abusare di esplosioni e scene d’azione. Il tutto, infatti, è talmente calibrato che finisce con il rendere il film fin troppo asciutto, come se il regista abbia pensato preventivamente di non voler far parlare di sé per gli eccessi, regalando una storia che si concentri prevalentemente sul messaggio che lo spettatore deve recepire, forse per non creare troppa confusione.
Il protagonista è Jacq Vaucan (Antonio Banderas), ispettore assicurativo della ROC (Robotics Corporation). La società è responsabile della creazione di robot che vengono utilizzati al servizio degli umani e sono capaci di tutelarli, le loro capacità sono limitate da protocolli che impediscono loro diventare dannosi per il genere umano. Ma è lo stesso Jacq a rendersi conto che in realtà alcuni robot stanno sviluppando una coscienza propria, sono in grado di giudicare e di ripararsi da soli, questo fenomeno inspiegabile mette seriamente a rischio il futuro del genere umano.
Ci troviamo già in un mondo in cui gli esseri umani sono confinati all’interno di un territorio circondato da un deserto radioattivo, in un futuro non troppo lontano dal nostro (è il 2044): è iniziata la fine della razza umana e la tecnologia sembra l’unico mezzo per poter fermare questo declino ma al contempo diventa uno strumento fin troppo pericoloso, soprattutto quando sono gli stessi robot a ribellarsi.
Il rapporto uomo-tecnologia diventa sempre uno spunto prezioso nel campo della fantascienza, con “Automata“ Gabe Ibáñez si sta interrogando su quello che potrebbe succedere in presenza dello scenario raccontato nel film: gli uomini progettano androidi quantistici per preservare la loro specie, limitando le capacità dei robot per assicurarsi una sopravvivenza più lunga, ma la scoperta di Jacq ha dello sconcertante. E in questi casi viene da chiedersi se effettivamente lo scenario che ci attende non sia molto simile a questo, visto lo stretto rapporto che intercorre tra noi e la tecnologia, ormai totalmente indispensabile e la volontà di renderci la vita sempre meno faticosa, lasciandola in mano a delle macchine.
Nei film di Gabe Ibáñez si trovano molti riferimenti ad altre opere fantascientifiche, ma il regista spagnolo non ha voluto esagerare con gli effetti, utilizzandoli solo quando necessari. L’atmosfera è angosciante, una città dalla quale sembra non esserci scampo, un protagonista che sogna di poter respirare la brezza dell’oceano ma si ritrova intrappolato in un deserto arido, soffocante, radioattivo, circondato dagli interessi implacabili degli umani e l’indipendenza crescente dei robot, ormai arrivati ad uno stato di coscienza tale da arrivare quasi a “schifare” il nostro genere.
Antonio Banderas incarna il personaggio di Jacq, rasato, sporco e sofferente e non è circondato da comprimari di alti livelli: un inesistente Dylan McDermott fa la sua comparsa insieme ad un’irriconoscibile Melanie Griffith, che sfoggia la pelle liscia di un’adolescente.
Il fatto che ci sia poca azione non guasta, ma non è controbilanciato da dialoghi imponenti o interpretazioni memorabili. Quella di Gabe Ibáñez è fantascienza ridotta all’essenziale e non segue passo passo lo stereotipo di genere. L’idea di “Automata” è sicuramente ambiziosa, è lo sviluppo che vuole essere privo di pretese o di esagerazioni, laddove osare almeno un pizzico in più non avrebbe guastato affatto.