“I grandi non capiscono mai niente e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta“.
Parte da una delle frasi più famose di Antoine de Saint-Exupéry il nuovo film di Walter Veltroni, “I bambini sanno“. Una frase emblematica, che lascia intendere che anche, anzi soprattutto, i più piccoli capiscono la vita e ciò che li circonda. Il documentario del regista, che abbiamo avuto il piacere di vedere a Firenze, non è altro che un montaggio di interviste fatte a una quarantina di bambini tra gli 8 e i 13 anni a cui sono state fatte domande su temi tutt’altro che facili: la vita, la religione, l’omosessualità, la crisi e altro ancora. Un progetto simile a quello del 1984 di Silvano Agosti con “D’amore si vive“, ma stavolta in versione bambino.
“Non è altro che un montaggio”, ho appena scritto. E ai più (forse agli adulti) potrà sembrare un modo per sminuire il grande lavoro del regista. Ma se c’è una cosa che questo film ci insegna, è proprio che non dobbiamo sottovalutare l’importanza della semplicità. Anzi, “I bambini sanno” è un inno alla semplicità, che spesso è tutt’altro che sinonimo di superficialità. Lo si capisce dalle risposte che danno i bambini a domande complicate come “Tu ci credi in Dio?” e “gli omosessuali possono allevare un figlio?”, di fronte alle quali non si può che rimanere spiazzati e sorpresi.
Come fece lo scrittore francese con “Il piccolo principe“, anche Veltroni tradisce il piccolo pubblico destinando la sua opera agli adulti. E’ un atto egoistico di noi adulti che abbiamo un bisogno disperato di comprendere i nostri figli, anche se non ce ne accorgiamo. Perché i bambini hanno sempre qualcosa da comunicare, così come lo dimostra il documentario.
Vuole parlarci Kevin, il ragazzo filippino che non crede più a Babbo Natale perché non gli ha portato il regalo che desiderava; vuole insegnarci Valerio, il piccolo genio della matematica che ricorda il giorno più bello della sua vita (“Quando sono nato: perché io ero“); vuole raccontarci Gaia, la sorella gemella di Luna, affetta da sindrome di down, che ama Peppa Pig.
Che poi, anche questo catalogare – il filippino, il genio eccetera – è proprio tipico dell’adulto. C’è un bambino, punto. Un bambino che soffre per la lontananza dal padre, un altro che lotta contro una brutta malattia, un altro che non ha mai visto il mare.
Domande che farebbero rabbrividire qualunque adulto, vengono affrontate con la facilità e l’intelligenza di un bambino che non si vergogna ad aprire il suo cuore davanti a una telecamera. In alcuni momenti, durante il film, si ha quasi la sensazione di qualcosa di costruito: come è possibile che dei ragazzi possano dare risposte di questo tipo? Ci ho pensato un po’ sù, e alla fine, per rispondermi, ho cambiato domanda: abbiamo mai provato a rivolgere loro quelle domande? Probabilmente, se lo facessimo davvero, non ci stupiremmo più delle loro risposte così semplici e, per questo, meravigliose.